I vaccini anti Covid a RNA potrebbero non essere efficaci in chi ha ricevuto un trapianto
Le persone che hanno ricevuto un trapianto di organo potrebbero non sviluppare una risposta anticorpale adeguata dopo la somministrazione di un vaccino contro il coronavirus SARS-CoV-2. Più nello specifico, di uno dei vaccini nuova generazione a base di RNA messaggero (mRNA): quelli attualmente approvati sono il BNT162b2/Tozinameran, sviluppato da Pfizer in collaborazione con la società di biotecnologie tedesca BioNTech, e l'mRNA-1273 o CX-024414 sviluppato da Moderna Inc., National Institute of Allergy and Infectious Diseases (NIAID) e Biomedical Advanced Research and Development Authority.
A determinare che i trapiantati potrebbero non produrre anticorpi a sufficienza per combattere la COVID-19 dopo la vaccinazione è stato un team di ricerca americano guidato da scienziati dei dipartimenti di Chirurgia, Medicina e Patologia della Scuola di Medicina dell'Università Johns Hopkins di Baltimora (Maryland). I ricercatori, coordinati dal professor Brian Boyarsky, specialista di Chirurgia presso l'ateneo statunitense, sono giunti a questa conclusione dopo aver coinvolto in uno studio oltre 400 trapiantati cui è stato somministrato il vaccino anti COVID. I partecipanti, sottoposti all'inoculazione della prima dose tra il 16 dicembre 2020 e il 5 febbraio 2021, avevano un'età media di 55,9 anni; nel 61 percento dei casi si trattava di donne e l'89 percento era bianco. In media avevano ricevuto il trapianto di organo da 6,2 anni. Il 52 percento ha ricevuto una dose di vaccino Pfizer-BioNTech e il restante 48 percento quello di Moderna-NIAID. Tutti i volontari, reclutati dagli scienziati sui social network, sono stati sottoposti a un prelievo di sangue a domicilio per condurre il cosiddetto “test sierologico”, necessario per verificare la presenza di anticorpi.
Dalle analisi è emerso che, a una media di 20 giorni dalla somministrazione della singola dose di vaccino, soltanto il 17 percento presentava anticorpi contro il coronavirus, ovvero 76 su 436 partecipanti. I volontari con più probabilità di sviluppare anticorpi erano quelli con un'età inferiore ai 60 anni, chi non assumeva anti-metaboliti per l'immunosoppressione (farmaci necessari per evitare il rigetto) e chi era stato trattato col vaccino di Moderna. I ricercatori hanno condotto questo studio proprio per verificare quale fosse la risposta anticorpale di soggetti immunocompromessi, come possono essere i trapiantati e chi ad esempio soffre di determinate patologie autoimmuni. La terapia immunosoppressoria dei partecipanti allo studio prevedeva tacrolimus (83 percento), corticosteroidi (54 percento), micofenolato (66 percento), azatioprina (9 percento), sirolimus (4 percento) ed everolimus (2 percento). Chi assumeva questi farmaci aveva il 63 percento in meno di probabilità di sviluppare anticorpi contro il coronavirus, contro il 37 percento di chi non li assumeva.
“Alla luce di queste osservazioni, riteniamo che i Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie dovrebbero aggiornare le loro nuove linee guida sulla vaccinazione per avvisare che le persone immunocompromesse potrebbero essere ancora suscettibili alla COVID-19 dopo la vaccinazione”, ha dichiarato il coautore dello studio Dorry Segev in un comunicato stampa. “Poiché le linee guida attuali non sono aggiornate, le persone presumono che la vaccinazione significhi immunità”, gli ha fatto eco il professor Thomas Pozefsky, docente di Chirurgia ed Epidemiologia e direttore dell'Epidemiology Research Group in Organ Transplantation presso la Scuola di Medicina dell'ateneo di Baltimora. I dettagli della ricerca “Immunogenicity of a Single Dose of SARS-CoV-2 Messenger RNA Vaccine in Solid Organ Transplant Recipients” sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica Research Letters del circuito JAMA.