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I surgelati importati da Paesi a rischio possono trasmettere il coronavirus?

Dopo le indagini avviate in Nuova Zelanda sulla possibilità che la ripresa dell’epidemia nel Paese sia dovuto a un carico di surgelati arrivato dall’estero, i pareri dell’OMS e di diversi esperti internazionali lasciano poco spazio a interpretazioni.
A cura di Valeria Aiello
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La fonte delle nuove infezioni che si sono registrate in Nuova Zelanda dopo oltre 100 giorni a contagio zero sta destando non poche preoccupazioni: le indagini dei tecnici della sanità neozelandese si stanno concentrando sulla possibilità che il coronavirus sia stato importato con un carico di surgelati proveniente dall’estero dal momento che l’uomo di Auckland da cui sarebbe partito il contagio lavora in un magazzino della catena Americold, una delle principali società di stoccaggio e trasporto di cibi surgelati che opera anche negli Stati Uniti, in Canada, Argentina e Australia.

Nel frattempo anche in Cina si sono registrati almeno due casi – l’ultimo qualche giorno fa – di tracce di coronavirus su confezioni di gamberetti surgelati e confezioni di ali di pollo importate rispettivamente dall’Ecuador e dal Brasile. Al momento le autorità sanitarie di Shenzhen, la città della Cina Sud-orientale dove sono state identificate le confezioni di ali di pollo contaminate, hanno avvertito i residenti di “essere cauti nell’acquisto di carne e prodotti ittici surgelati”. Raccomandazioni che, al momento, non trovano però riscontro tra gli esperti.

I surgelati possono trasmettere il coronavirus?

L’Organizzazione Mondiale di Sanità (OMS) ha voluto chiarire che non ci sono prove che il coronavirus venga trasmesso dal cibo o dal confezionamento degli alimenti. “Le persone non dovrebbero temere di contrarre l’infezione dal cibo o dagli imballaggi degli alimenti” ha detto Michael Ryan, direttore esecutivo del Programma di emergenza sanitaria dell’Oms. Questo perché “è improbabile che il virus, ammesso che si trovi sugli imballaggi, sopravviva durante la spedizione delle merci da un luogo all’altro” ha commentato a Business Insider Rachel Graham, epidemiologa dell'Università del North Carolina, sottolineando che “il processo di congelamento-scongelamento potrebbe ucciderlo”. L’epidemiologa ritiene inoltre che, anche se i funzionari cinesi hanno riferito di aver trovato tracce di coronavirus su alcune confezioni, questo materiale genetico non rappresenta una minaccia per la salute dal momento che è improbabile che sia infettivo.

La possibilità di trasmissione del virus dagli imballaggi sarebbe dunque scarsa. “È possibile, ma il virus non è molto stabile al di fuori del corpo umano” ha affermato Caitlin Howell, ingegnere chimico e biomedico dell'Università del Maine – . Congelare o refrigerare il virus può aiutare a prolungare il periodo di tempo in cui rimane infettivo, motivo per cui pensiamo che i focolai negli impianti di confezionamento della carne si siano verificati così frequentemente, ma la trasmissione attraverso le superfici sembra ancora essere rara, anche se quelle stesse superfici sono congelate o refrigerate”.

Del resto, se da un lato è vero che, a seconda del tipo di materiale, il coronavirus può resistere sulle superfici anche per diverse ore, è anche vero che la probabilità di contrarre l’infezione attraverso la manipolazione di oggetti contaminati è decisamente inferiore rispetto al rischio che si corre non indossando la mascherina: è bene ricordare che il coronavirus si trasmette principalmente attraverso le goccioline respiratorie (droplet) emesse quando si parla, oppure in seguito a uno starnuto o un colpo di tosse, piuttosto che attraverso le superfici con cui veniamo a contatto, specialmente se evitiamo di toccarci la bocca, il naso o gli occhi con le mani sporche. Non è un caso che, dallo scoppio dell’epidemia, tra le principali precauzioni per ridurre il rischio di trasmissione del virus ci sia proprio quella di prestare particolare attenzione all’igiene, lavando frequentemente le mani e disinfettando regolarmente le superfici.

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