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I ricercatori scoprono la causa della sindrome perisilviana congenita

I ricercatori hanno identificato il gene responsabile della sindrome perisilviana congenita che porta epilessia, deficit cognitivi e disturbi motori a chi ne soffre.
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A cura di Zeina Ayache
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Trovate le cause della sindrome perisilviana congenita grazie ad uno studio realizzato dal team di Neurologia del Meyer intitolato “Characterisation of mutations of the phosphoinositide-3-kinase regulatory subunit, PIK3R2, in perisylvian polymicrogyria: a next-generation sequencing study” e pubblicato su The Lancet. Secondo quanto scoperto dai ricercatori, responsabile della malformazione cerebrale che è all'origine della sindrome sarebbe il gene PIK3R2. La malattia, una polimicrogiria, consiste in una malformazione della corteccia cerebrale che coinvolge le regioni perisilviane, la scissura laterale di Silvio che divide il lobo frontale e quello parietale dal lobo temporale, e che si manifesta con epilessia, disturbi motori, difficoltà del linguaggio e deficit cognitivi.

Come spiegato dai ricercatori del Dipartimento di Neuroscienze dell’Ospedale Pediatrico Meyer e del Center for Integrative Brain Research del Seattle Children's Research Institute, che hanno collaborato al progetto guidato dal professor Renzo Guerrini, la ricerca segna un passo in avanti rispetto a quanto scoperto negli anni '90 quando, attraverso risonanza magnetica, gli scienziati iniziarono a studiare la malattia.

Oggi, l'identificazione di questo gene come responsabile dell'insorgere della sindrome apre nuovi scenari legati alla prevenzione poiché consentirà agli specialisti di indicare alle famiglie dei pazienti il livello di rischio di ricorrenza della malattia alle generazioni successive. “Il PIK3R2 appartiene a una famiglia di geni già correlati a una serie di anomalie dello sviluppo del cervello che sono causa di epilessia e di altre manifestazioni cliniche precoci” spiega il professor Guerrini.

Questo significa che questi geni, quando agiscono durante le fasi dello sviluppo cerebrale, portano alla formazione di una corteccia “disorganizzata”. Studi futuri ci permetteranno di capire se esistano farmaci capaci di bloccare questo processo e quindi di intervenire sulla malattia.

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