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I papiri di Ercolano scritti con inchiostri metallici

Grazie alle nuove tecniche non invasive di lettura, i papiri ercolanesi stanno iniziando a rivelare tutti i loro segreti e alcuni sono decisamente sorprendenti.
A cura di Nadia Vitali
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Dipinto del XVIII secolo raffigurante l'eruzione del Vesuvio
Dipinto del XVIII secolo raffigurante l'eruzione del Vesuvio

Nuove indagini sui papiri più celebri del mondo, quelli provenienti dalla villa di Ercolano: le ha svolte un gruppo internazionale di scienziati coordinato da Vito Mocella dell’Istituto per la microelettronica e microsistemi del Consiglio nazionale delle ricerche (Imm-Cnr) di Napoli presso l’European Synchrotron Radiation Facility (Esrf) di Grenoble, in Francia.

Papiri preziosi

Quei rotoli carbonizzati a causa della distruttiva eruzione del Vesuvio del 79 d. C. costituiscono un delicatissimo tesoro di cultura e conoscenza che, fin dalla sua scoperta avvenuta circa 260 anni fa, ha posto interrogativi enormi agli studiosi: come riuscire ad appropriarsi del suo contenuto senza danneggiare il materiale? Lo stesso team di Mocella, l’anno scorso, aveva pubblicato una ricerca nella quale spiegava come il ricorso ad una tecnica non invasiva di imaging con luce di sincrotrone avesse consentito di individuare alcune lettere greche in uno dei rotoli. Va detto, infatti, che i classici raggi X non sono sufficienti allo scopo.

L’inchiostro che non c’era

Adesso gli studiosi stanno iniziando a scendere ancor più in profondità. Il nuovo lavoro ha, infatti, consentito di giungere a conclusioni decisamente inaspettate: grazie alla combinazione di diverse tecniche non invasive di luce di sincrotrone è stata evidenziata la presenza di un inchiostro metallico in due frammenti appartenenti ai rotoli papiracei di Ercolano. Si tratta di una scoperta sorprendente, spiegano gli autori: ad oggi, si riteneva che la presenza di piombo negli inchiostri non andasse più indietro del IV-V secolo d. C. La prima testimonianza di miscela ferro-gallica utilizzata come inchiostro per una pergamena è del 420 d. C.

I papiri di Ercolano, però, sono più antichi (necessariamente precedenti al 79 d. C.) e quindi costituiscono un caso decisamente straordinario. Gli studiosi si sono preoccupati di verificare che quelle alte concentrazioni di metallo non fossero riconducibili, eventualmente, ad una contaminazione da piombo presente nei sistemi idrici o, magari, in uno strumento come il calamaio dove andava intinto lo strumento scrittorio.

Cosa sono gli inchiostri ferro-gallici

Partendo da un infuso di “galle”, ossia piccole escrescenze che si sviluppano su alcuni alberi, mescolando con un composto e con un addensante, si otteneva un inchiostro che impregnava fortemente il supporto scrittorio diventando quasi del tutto indelebile: le più antiche istruzioni per la sua preparazione risalgono al IV secolo d. C. ma sarebbe stato soprattutto durante il Medioevo che si sarebbe diffuso. Ritrovarne tracce in documenti antichi come quelli di Ercolano dimostra che, contrariamente a quanto creduto fino ad oggi, non erano esclusivamente i pigmenti a base di carbone le uniche risorse che greci e romani potevano utilizzare per scrivere; ma anche che i papiri di Ercolano costituiscono una miniera di informazioni preziosissima sotto ogni punto di vista.

I dettagli dello studio sono stati pubblicati dalla rivista Proceeding of National Academy of Sciences of the United States of America.

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