Human Brain Project, la grande impresa per capire il cervello
Sei grandi progetti con l’obiettivo di andare oltre gli attuali confini della conoscenza. Sono stati scelti dall’Unione europea ed entro la fine dell’anno uno o due di essi riceveranno un finanziamento di 1 miliardo di euro per un decennio. Ve li raccontiamo qui su Fanpage.
Poco più di dieci anni fa si concludeva con successo il Progetto Genoma Umano, l’ambiziosa impresa portata avanti da migliaia di scienziati in tutto il mondo per mappare il nostro genoma, il DNA, e cercare così di far luce sul cosiddetto “codice sorgente” degli esseri umani. Un impresa straordinaria che potrebbe in futuro essere surclassata da un progetto internazionale ancora più ambizioso: lo Human Brain Project (HBP), il cui scopo è riuscire a simulare il cervello umano per svelare i segreti della cosa più complessa che conosciamo nell’universo: la nostra mente. È uno dei Flagship, i progetti-bandiera scelti dall’Unione europea per la ricerca scientifica del prossimo decennio. È già in corso, ma se vincerà la sfida con gli altri cinque concorrenti potrà entro l’anno portare a casa un finanziamento europeo di 1 miliardo di euro per i prossimi dieci anni.
Miliardi di neuroni in un chip
Come FuturICT, uno dei cinque concorrenti di cui abbiamo già parlato la scorsa settimana, HBP ha come obiettivo la simulazione di fenomeni estremamente complessi, che la tecnologia e la scienza attuale sono ben lontani dal poter modellizzare. Il cervello umano è qualcosa di complicatissimo. Non solo in termini di cellule neuronali, circa 90 miliardi, quanto le stelle della nostra galassia, e di connessioni sinaptiche, oltre 100.000 miliardi. Ma soprattutto in termini di comprensione “olistica”. La nostra mente è un tipico esempio di “complessità emergente”, quei fenomeni cioè che emergono spontaneamente dalla somma dei diversi elementi costituenti: per capirci, i neuroni, la materia grigia, sono la base, l’hardware, ma i nostri pensieri e ricordi, la mente, il software, è completamente diverso dall’hardware.
Per riuscire in quest’impresa, bisognerà insomma andare oltre i limiti del riduzionismo scientifico: non comprendere il cervello attraverso lo studio delle sue singole parti, ma come insieme. Per farlo, serviranno computer che oggi non esistono ancora, ma che saranno realtà a partire dal prossimo decennio. Supercomputer con una velocità di calcolo nell’ordine degli exaflop (oggi i supercomputer raggiungono svariati teralop, un’inezia in confronto) e una memoria di calcolo nell’ordine degli exabyte, cioè dieci miliardi di miliardi di byte. Fantascienza? Lo sviluppo delle tecnologie rende il traguardo alla nostra portata entro il 2020 o giù di lì. A quel punto, avremo computer quasi onnipotenti, sui quali far girare il più straordinario software dell’universo: la mente umana.
La mente umana in un'equazione matematica
Ma l’informatica è solo la base. Come spiega il direttore del progetto, Henry Markram, su Le Scienze, sarà necessario “tradurre in forma di equazioni matematiche i processi biologici descritti da queste regole [quelle che descrivono l’organizzazione del cervello] e sviluppare il programma per risolvere le equazioni su un supercomputer. E sviluppare il programma che costruirà un cervello conforme alla biologia, Brain Builder, il costruttore di cervelli, come lo abbiamo chiamato”. Il problema è che la matematica alla base dei sistemi biologici è del tutto diversa da quella che conosciamo, o meglio da quella che conoscono i migliori matematici del mondo. I sistemi biologici non sono come i sistemi fisici. Dato un fenomeno X, non possiamo essere certi che seguirà il fenomeno Y. Possiamo solo dire con che probabilità potranno seguire una serie di fenomeni.
Come riuscirci, praticamente? Qualcosa c’è già. Nel 2005 è stato realizzato il modello virtuale di un singolo neurone, e nel 2008 della colonna neurocorticale, circa 10.000 neuroni. Materia amorfa, fatta “di silicio”, nel senso che esiste solo dentro un computer. Ma quando i ricercatori l’hanno attivata, hanno visto che i neuroni virtuali hanno iniziato a dialogare tra loro, simulando correttamente il funzionamento della corteccia umana. Si va avanti così: a piccoli passi. I matematici lo chiamano metodo perturbativo. Poiché le equazioni definitive sono troppo complesse per essere comprese, si parte da qualcosa di più semplice e man mano si aggiunge qualche fattore in più, “perturbando” la base di partenza. Il BHP funzionerà allo stesso modo. Simuleremo prima il cervello di un topo. È un mammifero come noi, solo che è molto più semplice. Man mano aggiungeremo particolari, fino a simulare il cervello di un essere umano neonato.
Cosa possiamo fare con un cervello simulato
A cosa serve tutto questo? A molte cose. A livello neurologico, sarà possibile simulare cervelli affetti da malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer, o da semplice depressione; cervelli di persone autistiche o che hanno subito traumi cerebrali. Capiremo meglio cos’è che non va in quei cervelli e troveremo il modo di ripararli. Ma non solo. Quando riusciremo a fare in modo che la simulazione del cervello di un neonato riesca a connettersi a un corpo artificiale inserito all’interno di un ambiente reale, potremo controllare 24 ore su 24 come cambia il cervello in risposta agli stimoli, e come cresce. E c'è qualcuno davvero molto interessato al progetto: un miliardario russo che ha già investito milioni nel tentativo di riuscire entro il 2045 a trasferire il nostro cervello biologico in una copia virtuale, garantendoci l'immortalità. Certo non mancheranno i problemi etici, ammette Markram. Un cervello simulato simile se non identico al nostro potrebbe essere cosciente di se stesso? Anche se non lo fosse, avrebbe dei diritti? Potremo usarlo per compiere esperimenti? E soprattutto, potrebbe essere la prima forma di post-umanità? I sostenitori del postumanesimo ritengono che la nostra civiltà entrerà in una nuova fase dell’evoluzione quando i computer saranno in grado di superare il cervello umano. Il BHP ci riuscirà? Per avere una risposta, gli scienziati ci danno appuntamento al 2023.