Guglielmo Marconi, storia dell’uomo che insegnò a comunicare
È sempre difficile parlare di Guglielmo Marconi senza farsi travolgere rapidamente dal fiume di polemiche e diatribe riguardanti l’attribuzione dell’invenzione che gli valse il Nobel per la fisica nel 1909: del resto la storia delle scoperte scientifiche, soprattutto relativamente alla seconda metà del XIX secolo, è costellata di “battaglie dei brevetti” (vedi Thomas Edison), di paternità negate (il caso del telefono con Antonio Meucci e Alexander Graham Bell) quando non di episodi che ancora oggi destano dubbi e perplessità (come la storia di Louis Aimé Augustin Le Prince, misteriosamente scomparso nel nulla sul treno che lo portava a Parigi nel 1890, dopo aver girato la prima sequenza in movimento della storia, anni prima dei fratelli Lumière). Insomma, resta difficile riuscire a tirare le fila di un periodo storico caratterizzato dal grande fermento scientifico, dalla corsa alla scoperta e al primato. Tra ingiustamente dimenticati e fin troppo ricordati, però, è sempre legittimo rivolgere un pensiero a quell'inventore, nato il 25 aprile di 140 anni fa, che tanto lustro diede al nostro Paese.
Il telegrafo senza fili
Sappiamo, perché ci viene ripetuto fino alla nausea, che viviamo in quella che viene definita come “società della comunicazione”, con tutte le implicazioni antropologiche e sociologiche che questo comporta, nel bene e nel male. È sempre utile, quindi, ricordare che tra le prima fondamenta gettate per la costituzione di tale società, in cui effettivamente la comunicazione con qualunque mezzo e strumento costituisce la cifra caratteristica, ci fu proprio la messa a punto della telegrafia senza fili via onde radio da parte di Guglielmo Marconi.
La storia è nota a tanti: dopo diversi esperimenti condotti tra le pareti domestiche, l’apparecchio costruito dal ventenne bolognese, che premendo un tasto faceva squillare un campanello posto a distanza, dimostrò di essere anche in grado di superare ostacoli naturali come la collina dei Celestini, nel parco della dimora estiva dei suoi genitori. Mentre il giovane attivava il telegrafo, da dietro la collina il maggiordomo era in attesa del segnale: un colpo di fucile sparato in aria dal maggiordomo fu la conferma del buon esito dell'esperimento. Aveva udito il suono a distanza: nasceva la radio, era il 1895. L’entusiasmo dei primi successi spinse il giovane Marconi a chiedere finanziamenti presso il ministero delle Poste e Telegrafi specificando, nella missiva che inviò corredata di progetto, quali erano i grandi progressi che egli intravedeva nell'invenzione del telegrafo senza fili. Pare che le carte non vennero neanche esaminate tutte e che il ministro (o chi per lui, all'interno dell’amministrazione del tempo) liquidò la vicenda suggerendo ironicamente un ricovero presso il manicomio romano per quel giovanotto pieno di idee bizzarre. Il seguito del racconto, dunque, suonerà in parte simile a molte storie che siamo abituati a sentire anche oggi: incoraggiato anche dalla sua personale situazione familiare (sua madre era irlandese, suo padre aveva acquisito anni prima la cittadinanza inglese) si recò a Londra nel febbraio del 1896 a presentare la prima richiesta per il brevetto provvisorio che prevedeva «Miglioramenti nella telegrafia».
L’atto che sanciva ufficialmente la nascita della comunicazione senza fili era stato registrato, in anticipo sui contemporanei di Marconi, Aleksandr Popov e Nikola Tesla, i quali avevano già condotto con successo esperimenti relativi alla comunicazione via radio: da qui l’origine delle controversie relative all'invenzione che ancora oggi appassionano non soltanto gli addetti ai lavori e gli esperti di diritto, ma anche quanti subiscono il fascino della storia.
La controversia con Tesla
C’è da dire che, a differenza del giovane di buona famiglia Guglielmo Marconi, una figura come quella di Nikola Tesla ha sempre avuto un fascino di gran lunga superiore che ne ha fatto salire notevolmente anche in Italia il gradimento da parte della cultura popolare: di umili origini, geniale e sregolato, affetto da disturbo ossessivo-compulsivo e noto per alcune strane abitudini, mente esplosiva che saltava da un’invenzione ad un’idea nel giro di pochi mesi, molta teoria e molto poca pratica, Tesla purtroppo doveva soccombere dinanzi alla difficoltà, per una persona come lui, di destreggiarsi in un mondo che non chiede soltanto una mente brillante ma anche saldi piedi ben piantati a terra. Era del resto poco interessato al denaro ma fortemente desideroso di diventare un benefattore dell’umanità grazie alle proprie geniali intuizioni: quando morì, all'inizio del 1943, era ricco soltanto di debiti.
In quello stesso anno la Corte Suprema degli Stati Uniti riconobbe a Tesla la paternità della radio, rovesciando però così una delibera precedente che attribuiva invece a Marconi tale primato e, soprattutto, sconfessando implicitamente anche il Nobel per la fisica ricevuto decenni prima dall'inventore italiano: insomma, inevitabilmente la sentenza resta ancora oggi contestata e non è accettata universalmente, anche sulla base delle controversie tra esercito americano e società Marconi che, secondo alcuni, furono allora alla base della decisione postuma della Corte Suprema.
Comunicare senza limiti
Per farla breve, i sostenitori di Marconi sostengono che egli ignorasse del tutto gli esperimenti condotti da Tesla negli Stati Uniti, quando depositò il brevetto nel Regno Unito; i detrattori, viceversa, negano tale possibilità affermando quindi che il giovane bolognese avrebbe preso più di un’ispirazione dall'inventore serbo-croato. Difficilmente tale diatriba giungerà mai ad una soluzione, dal momento che negli appunti di Marconi non c'è alcun cenno a Tesla, benché non si possa del tutto escludere che egli fosse a conoscenza dei lavori dello scienziato serbo. Del resto può sembrare paradossale ma all'epoca il mondo non si era ancora "rimpicciolito" nella misura in cui lo conosciamo oggi: sono state proprio le comunicazioni, e Marconi in primis, a fare in modo che qualcosa accaduto in un punto del mondo giunga in tempo quasi reale all'altro capo del mondo. Ma alla fine del XIX secolo le cose erano chiaramente diverse.
Certo è innegabile come la figura di Guglielmo Marconi, con i suoi tratti "istituzionali" (si pensi al fatto che fu una tra le tante vanterie italiche del regime fascista), abbia un appeal decisamente inferiore a quello dei suoi meno fortunati contemporanei Popov e Tesla: ma non è questa una buona scusa per dimenticare i suoi grandi meriti scientifici e il contributo dato al progresso dell'umanità attraverso la messa a punto di un nuovo modo di comunicare che valicava confini ed ostacoli naturali e senza il quale, oggi, saremmo molto diversi da come siamo.