Gli scienziati ricostruiscono il DNA della Morte Nera
Alcuni eventi storici hanno contribuito a formare l'idea del Medioevo come di uno dei periodi più oscuri che il mondo occidentale si sia mai trovato ad attraversare; la cinematografia e la letteratura, inoltre, hanno spesso accentuato questi aspetti, restituendo così ai nostri occhi l'immagine di un momento storico in cui la vita veniva tristemente scandita dall'ignoranza, dalla paura, dalle campane a morto, dai mucchi di cadaveri nelle fosse comuni.
Senza dubbio, la terribile Peste Nera che giunse in Europa dall'Oriente nel 1347 ha giocato un ruolo non secondario nel determinare questa percezione nei posteri: in cinque anni il terribile flagello svuotò letteralmente l'intero continente, uccidendo un numero compreso tra un terzo e la metà della popolazione totale del territorio e scompaginando l'intero assetto sociale ed economico di ogni paese. Il mondo credette di trovarsi dinanzi alla fine dei propri giorni, punito per i propri peccati da un Dio vendicativo: le folle di flagellanti, quindi, il terrore che, come il bacillo, non risparmiava nessuno, a qualunque classe si appartenesse, resero certamente il clima ancora più infernale.
Può sembrare incredibile, eppure al giorno d'oggi si verificano ancora dei casi di peste, per un totale di approssimativamente 2000 morti l'anno: Yersinia Pestis, il bacillo che causa questa piaga individuato nel 1894, infatti, è ancora altamente virulento anche se dà luogo a sintomi differenti da quelli riportati dalle cronache della Morte Nera, tali da portare non di rado gli scienziati a dubitare della sua identificabilità con il responsabile di morte e distruzione nel XIV secolo.
Perplessità che, finalmente, sono state dissipate quando gli scienziati hanno potuto individuare il DNA di questo batterio, estraendolo dai denti di quattro vittime del morbo, morte a Londra e sepolte nel cimitero di East Smithfield che venne allestito appositamente nel 1348 e che accolse all'incirca 2400 cadaveri, mentre si verificava questo nefasto avvenimento. Il team internazionale di ricercatori che lavorava al progetto e che ha pubblicato il risultato dello studio sull'autorevole rivista Nature, ha verificato che il patrimonio genetico dello Yersinia Pestis non è cambiato di molto e, dunque, l'altissima mortalità dei secoli scorsi potrebbe essere ricondotta soprattutto alle condizioni in cui si viveva in quel tempo.
Delle circa 4.6 milioni di unità che compongono il genoma del bacillo, solo 97 sono cambiate nel corso degli ultimi 660 anni e, tra queste, solo una dozzina potrebbero riguardare gli effetti fisici: se ne deduce, quindi, che furono diversi i fattori che incisero. La guerra dei cent'anni, iniziata appena un decennio prima, un repentino mutamento climatico (noto anche come piccola età glaciale) che avrebbe reso notevolmente più fredde le temperature anche nei secoli successivi causando notevoli danni all'agricoltura, le condizioni igieniche, la superstizione, la paura, la fame, le carestie.
I miglioramenti economici e sociali e nell'ambito igienico e sanitario, furono le armi grazie alle quali l'uomo poté assestare il colpo definitivo a questa piaga: una male che, tuttavia, non è ancora corretto definire debellato del tutto, se si pensa che, sporadicamente, focolai di infezioni vengono riscontrati, soprattutto in Asia e in Africa, proprio dove, con tutta probabilità, quel progresso che a noi sembra ordinarietà, è ancora un diritto che va conquistato.