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Gli scienziati ricostruiranno un vino dell’antichità attraverso i semi

Dei semini carbonizzati vecchi di 1.500 anni consentiranno, forse, di ricreare il gusto e il profumo di un pregiatissimo vino dell’antichità.
A cura di Nadia Vitali
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Nell'antichità le anfore erano fondamentali per la conservazione e il trasporto del vino: oggi lo sono per gli studiosi.
Nell'antichità le anfore erano fondamentali per la conservazione e il trasporto del vino: oggi lo sono per gli studiosi.

Alcuni semi carbonizzati di epoca bizantina potrebbero aiutare a ricostruire il sapore e il profumo di uno dei vini più pregiati dell’antichità: il vino di Negev, che veniva bevuto nell'area dell’Impero Bizantino, è noto dalle fonti storiografiche risalenti all'epoca dello splendore dell’Impero d’Oriente. Di questo nettare dell’antichità sappiamo che era estremamente costoso e di altissima qualità e che veniva chiamato anche “vino di Gaza”, dal nome del porto principale dal quale veniva spedito in tutti gli angoli dell’Impero: esso era infatti di origine palestinese.

Un ritrovamento molto atteso

Oggi, purtroppo, in quella stessa area crescono principalmente vitigni originari del mediterraneo europeo, ragion per cui il gusto di quel vino è andato perduto: ma non irrimediabilmente, forse, grazie al lavoro degli archeologi dell’Università di Haifa, Israele, e alle loro campagne di scavo condotte nel sito di Halutza. Il professor Guy Bar-Oz ritiene infatti che quei semi consentiranno di ricostruire davvero il sapore del vino di Negev. Fino ad ora gli archeologi erano incappati in tracce dei terrazzamenti dove si coltivava l’uva, nelle cantine dove la produzione del vino aveva luogo e anche nelle giare all'intero delle quali il vino era conservato ed esportato: ma il ritrovamento dei semi costituisce la vera svolta.

Un importante snodo commerciale dell'antichità

Il sito di Halutza è stato dichiarato patrimonio dell’UNESCO per la sua importanza storica: in epoca bizantina la città che sorgeva qui era la più importante dell’area del deserto del Negev dopo essere stata una tappa obbligata lungo la via dell’incenso nabatea. Dei suoi antichi edifici in pietra, molto poco ha resistito all'usura del tempo, ragion per cui gli archeologi hanno effettuato i propri ritrovamenti tra i materiali di risulta e i rifiuti che, in accordo con quanto spiegato dal professor Bar-Oz, sarebbero ottimamente conservati e oggi costituirebbero il confine dell’antica città (talmente cospicui da poter essere individuati anche con Google Earth).

Ceramiche e monete scoperte tra questi compatti rifiuti indicherebbero che l’accumulo è stato creato tra il VI e il VII secolo d. C., in un’epoca in cui la città toccava l’apice del proprio splendore economico, prima di un declino collocato alla metà del VII secolo che, per ragioni non del tutto note, portò al progressivo abbandono della città. In quella spazzatura di un tempo, i ricercatori hanno trovato tantissimi frammenti di contenitori per cibi e bevande ma anche resti alimentari che testimoniavano della ricchezza degli abitanti: lische di pesce e ossa di animali, così come crostacei importati da altre zone del Mediterraneo, in quella fittissima rete di commerci che fece lo splendore dell’Impero Bizantino.

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Veduta del sito di Halutza [Sfrantzman via English Wikipedia]

La tecnologia per ricostruire un antico sapore

Ma il ritrovamento più interessante è senz'altro quello dei piccoli semi, testimonianza di un vino la cui fama si estendeva in tutto l’Impero e del quale, forse, tra qualche tempo sarà possibile conoscere il sapore. Il prossimo passo dello studio, infatti, sarà la collaborazione con i biologi per sequenziare il DNA dei semi e scoprirne l’origine, con uno scopo non soltanto puramente “edonistico” o “intellettuale” ma anche pratico. Le uve coltivate nella zona oggi non sono autoctone ma frutto dell’importazione da Francia ed Italia: queste varietà richiedono molta acqua, cosa che forse non valeva per il vitigno originario di questa zona arida e brulla. E oggi, probabilmente, la tecnologia per ricostruire le caratteristiche di quel frutto e, magari, per ricrearlo in laboratorio, potrebbe costituire un problema inferiore rispetto alla scarsità di acqua del futuro.

E poi gli archeologi ci tengono a scoprire quale era il “segreto” del prestigio di questo vino: magari potrebbe piacere anche a noi anche se sappiamo come i vini dell’antichità avessero un sapore molto diverso da quello a cui siamo abituati noi, profondamente alterato anche dalla presenza di additivi che oggi ci sembrerebbe alquanto bizzarro ritrovarci nel bicchiere.

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