Gli scienziati hanno sentito l’eco del Big Bang
In pochissimi giorni, il passaparola non ha fatto che aumentare l’ansia e l’emozione per la major discovery annunciata dalla Harvard University e le indiscrezioni sono partite dai blog per giungere fino a quotidiani e giornali specializzati di tutto rispetto. Ormai l'aspettativa era talmente alta che, comprensibilmente, non mancava chi temeva il ripetersi di un effetto-NASA: l'agenzia spaziale americana ha già in passato, infatti, pubblicizzato scoperte sensazionali rivelatesi poi ben poca cosa rispetto al baccano dal quale erano state precedute. Insomma poteva apparire legittimo dubitare sulla buona fede del celebre ateneo bostoniano e, del resto, anche uno scienziato di chiara fama nostro connazionale come Paolo De Bernardis aveva invitato alla cautela, nei giorni scorsi, aspettando di sapere se realmente si stava per assistere ad una "rivoluzione" nel campo della cosmologia: rivoluzione che, a quanto pare, ci sarà.
Fine di una caccia decennale?
È «il Sacro Graal della cosmologia», quello che il bosone è stato per la teoria di Higgs: le onde gravitazionali, increspature nello spazio-tempo causate da fenomeni particolarmente energetici, sono state previste dal modello di Albert Einstein nella sua teoria sulla relatività generale elaborata e pubblicata nel 1916: eppure, a quasi un secolo di distanza da allora, nessuna traccia diretta era stata rilevata della loro esistenza. Almeno fino ad ora, il che giustifica il sensazionalismo e l'entusiasmo degli esperti del Centro di Astrofisica Harvard-Smithsonian, i quali hanno da poco rivelato ad una comunità scientifica ormai in trepidante attesa di essere riusciti a captare la prima "eco" del Big Bang di 14 miliardi di anni fa: un risultato reso possibile grazie all'esperimento BICEP (Background Imaging of Cosmic Extragalactic Polarization) e al suo radiotelescopio posto in Antartide, presso la base permanente Amundsen–Scott del Polo Sud. Puntando "l'occhio" verso una porzione di cielo conosciuta come «buco nero del sud», dove relativamente poco materiale extragalattico può interferire, BICEP è riuscito laddove nessuno era mai arrivato. Come? Studiando la radiazione cosmica di fondo, ossia il residuo raffreddato dell'energia rilasciata dal Big Bang risalente a 380.000 anni dopo lo scoppio (la cui scoperta fruttò un Nobel a Arno Penzias e Robert Woodrow Wilson nel 1978).
«I primi tremori del Big Bang» costituiscono la fondamentale conferma di un elemento relativo alla teoria di Einstein che non era stato ancora suscettibile di verifica: ecco perché la loro rilevazione potrebbe costituire una nuova chiave importantissima per la comprensione della nascita del nostro universo. Essi infatti sarebbero stati originati dall'espansione dell'Universo, avvenuta una frazione di secondo (10 elevato alla meno 34, difficile anche da scrivere per esteso!) dopo l'esplosione e in maniera esponenziale: tale fase, denominata inflazione cosmica, sarebbe stata accompagnata, appunto, dall'emissione di onde gravitazionali primordiali delle quali, adesso, la scienza pare avere prova quasi certa dopo una ricerca che, per decenni, è stato il centro dell'attenzione dei fisici. Ma, c'è da giurarci, questa rivelazione sarà solo l'inizio: i due scienziati a capo del gruppo di ricerca, John Kovac e Chao-Lin Kuo, sanno infatti di aver conseguito «uno dei più importanti traguardi della cosmologia odierna», mutando un'ipotesi, quella dell'inflazione cosmica, in una teoria verificata in maniera sperimentale.