Gli astronauti del Challenger sono ancora vivi? Una bufala creata ad arte
La tragedia del Challenger si compì la mattina del 28 gennaio 1986, la missione Shuttle della Nasa perse così i suoi primi astronauti, in un incidente causato dall'avaria del motore a 73 secondi dal lancio.
La leggenda degli astronauti redivivi. Le vittime furono Sharon Christa McAuliffe, Gregory Jarvis, Judith A. Resnik, Francis R. (Dick) Scobee, Ronald E. McNair, Mike J. Smith e Ellison S. Onizuka. Leggenda vuole che questi sette astronauti in realtà non fossero mai partiti, si tratta per la precisione di una vera e propria tesi di complotto. In Rete spesso vengono pubblicate suggestive immagini dove si fanno vedere gli astronauti ancora vivi e addirittura invecchiati, accostati alla foto di gruppo dell'equipaggio. Sono foto autentiche. Come si spiega?
Gli astronauti avrebbero assunto una nuova identità
Curiosamente però non hanno cambiato i loro cognomi, alcuni presentano nomi apparentemente identici. Insomma si spaccerebbero per i fratelli e sorelle delle vittime del Challenger, oppure per persone totalmente estranee. Tutto questo grazie anche ad una irriducibile omertà da parte delle famiglie. Stranamente questo vale per sei di loro. Infatti Gregory Jarvis non compare in nessuna foto post-mortem.
Diverse strutture facciali. Le incongruenze non finiscono qui. Vediamo il caso di Judith Resniks: le strutture facciali appaiono diverse già ad una prima analisi. Inoltre la Resnik ingegnere elettrico è stata impegata presso la Nasa tra gli anni 1970 e '80, mentre la Resnik avvocato insegna legge – nello stesso periodo – a Yale. Ci troviamo di fronte ad un clamoroso caso di "ubiquità", oltre che di "sbiancamento" della persona in questione, che da nera diventa caucasica.
Una bufala da manuale. Di ogni astronauta del Challenger Snopes è riuscito a fornire dati documentati, riscontrando altri casi di "ubiquità", mettendo in evidenza le differenze delle strutture facciali. La scarsa qualità delle foto utilizzate ha fatto il resto. Si tratta di uno dei casi più clamorosi di complottismo, al quale ancora si tende a dar credito nei siti sensazionalisti, nonostante evidenti forzature che fanno pensare ad una tesi creata ad arte ai soli fini del clickbait.