Gli analgesici associati al rischio di perdita dell’udito?
L'abuso di farmaci è generalmente associato ad effetti collaterali di diversa entità e che interessano differenti funzioni dell'organismo: ma, sebbene sia cosa nota da decenni come il ricorso troppo frequente a medicinali può scatenare conseguenze anche molto gravi, le raccomandazioni dei medici ad un uso moderato e solo se strettamente indispensabile non sono mai superflue. Ai farmaci analgesici, ad esempio, viene ricondotto un incremento del rischio di perdere l'udito: dato attestato da studi condotti negli anni scorsi che, però, avevano utilizzato un campione esclusivamente maschile.
I ricercatori del dipartimento di medicina del Brigham and Women's Hospital di Boston hanno analizzato la correlazione tra uso di antidolorifici e ipoacusia prendendo in esame, però, soggetti di sesso femminile: all'indagine hanno partecipato 62 261 donne, la cui età al momento dell'inizio della ricerca era compresa tra i 31 e i 48 anni, seguite a partire dal 1995 e fino al 2009. Le volontarie fanno tutte parte del Nurses' Health Study, il grande studio epidemiologico che monitora la salute delle infermiere statunitensi. Nel corso dei quattordici anni di follow up, circa 10 000 delle partecipanti hanno riferito di aver subito una perdita dell'udito: dall'analisi e dall'incrocio dei dati raccolti, gli esperti sono arrivati alla conclusione che tale disturbo poteva essere associato al consumo di analgesici. I risultati della ricerca pubblicati dall'American Journal of Epidemiology.
Come principale imputato sul banco dell'accusa ci sarebbe l'ibuprofene: principio attivo appartenente alla famiglia dei FANS (farmaci anti-infiammatori non steroidei), è presente in molti farmaci che aiutano a contrastare il dolore. I ricercatori avrebbero verificato come l'assunzione due/tre volte alla settimana dell'ibuprofene porterebbe ad un incremento del rischio di perdere l'udito del 13%, rischio che sale qualora aumenti la dose settimanale: quattro/cinque volta la settimana si traducono in un 21% in più che diventa 24% qualora settimanalmente si ricorra per sei volte al farmaco.
Non si salva neanche il paracetamolo che fa male alle orecchie anche se, ammette lo studio, in misura minore: due/tre volte a settimana significano un rischio di ipoacusia dell'11% in più mentre se la dose aumenta fin a quattro/cinque volte si arriva al 21%. C'è da dire che l'uso sconsiderato e talvolta totalmente arbitrario e privo di qualsiasi consultazione medica del paracetamolo (che in Italia è maggiormente noto attraverso i farmaci che lo contengono, quali Tachipirina e Efferalgan) è già stato oggetto di discussione, al punto che più volte è stata avanzata l'ipotesi di un ritiro dal commercio: all'abuso di tale principio attivo, dunque, sono già stati associati numerosi effetti collaterali riscontrati sia negli uomini che nelle donne nel corso di precedenti studi.
La buona notizia, almeno, è che il lavoro sembrerebbe assolvere del tutto l'aspirina dall'accusa di ototossicità: resta tuttavia il pericolo per paracetamolo ed ibuprofene, in precedenza già dimostrato per gli uomini e attualmente provato anche nelle donne. La spiegazione del fenomeno risiederebbe in una riduzione del flusso ematico nella coclea (meglio conosciuta come chiocciola) causato da tali farmaci: la funzionalità compromessa di questa componente interna dell'orecchio sarebbe all'origine della perdita di udito.