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Covid 19

Gilestro sull’approccio inglese al virus: “Una sequela di errori, avremo 150-200mila casi al giorno”

Giorgio Gilestro, professore dell’Imperial College di Londra, a Fanpage: “Siamo in una fase in cui i suggerimenti degli scienziati non sono neanche presi in considerazione dal Governo, che non sta facendo niente per limitare questa nuova ondata di contagi. In cinque settimane arriveremo allo stesso numero di ricoveri di gennaio”.
Intervista a Giorgio Gilestro
Neurobiolologo, professore di Neuroscienze, Farmacologia e Genomica dell'Imperial College di Londra.
A cura di Valeria Aiello
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Con ormai due terzi della popolazione adulta completamente vaccinata e quasi l’87 percento che ha ricevuto almeno una dose, il Regno Unito sembra pronto a lasciarsi alle spalle l’emergenza Covid. Il giorno che segnerà la fine delle restrizioni è quello di lunedì 19 luglio: a partire da questa data non sarà più obbligatorio l’uso delle mascherine nei negozi e sui mezzi pubblici, e sparirà anche la regola del distanziamento sociale. Pub e cinema potranno operare a capacità piena, riapriranno le discoteche, e cadrà anche la raccomandazione di lavorare da casa, consentendo il ritorno negli uffici.

A preoccupare, però, è la nuova impennata di contagi che nelle ultime 24 ore, secondo i dati del Governo, ha superato quota 32mila casi. “Se continueranno a crescere a questo ritmo, tra 4-5 settimane arriveremo a 150mila o forse 200mila casi al giorno – spiega a Fanpage.it il professor Giorgio Gilestro dell’Imperial College di Londra – . È chiaro come tra la situazione epidemiologica e le azioni del Governo ci sia un certo screzio”.

Perché il Regno Unito si trova in questa situazione?

Quando la variante Delta è arrivata dall’India ad aprile, qui iniziavano le riaperture mentre in tutto il resto d’Europa le chiusure erano ancora in corso. Questo ha fatto sì che la variante iniziasse a prendere il sopravvento sulle altre e, vista l’aumentata contagiosità, si è arrivati ad avere un numero di casi molto elevato. Rispetto a quanto abbiamo visto in passato, il numero delle ospedalizzazioni e delle morti è ridotto ma, non essendo ancora tutti vaccinati, esiste un problema dal punto di vista del sistema sanitario.

Allora perché eliminare tutti i divieti?

Quello che accadrà il 19 luglio è abbastanza controverso, del resto il Regno Unito è, per così dire, particolare. Dal punto di vista scientifico, a parte lo sviluppo del vaccino Astrazeneca, è davvero in testa a qualsiasi altro Paese, compresi gli Stati Uniti, perché è nel Regno Unito che sono stati svolti tutti i test clinici più importanti, molte ricerche sul sequenziamento delle varanti e la maggior parte delle analisi scientifiche in generale. Dal punto di vista politico, c’è invece stata una sequela di errori, uno dopo l’altro.

Compreso l’azzardo di lunedì 19?

Qui il lockdown è iniziato a dicembre 2020, poco prima di Natale, e il piano era di rilasciarlo in quattro step: l’ultimo passo è quello del 19, che di fatto è quasi una formalità, perché non ci saranno ulteriori riaperture – ormai è  tutto aperto, gli incontri sono normali e, come si è visto, gli stadi di calcio sono quasi pieni – ma azioni come indossare una mascherina su un mezzo pubblico o nei negozi non saranno più ritenute necessarie. C’è ovviamente, come capirà, un contrasto tra la situazione reale e la fine dei divieti. I numeri non giustificano quest’azione del Governo.

Anche posticipare la seconda dose è stato un errore?

No, era la cosa giusta da fare. In principio è stata certamente una scommessa, ma alla fine è risultata una strategia vincente, che quasi tutto il resto d’Europa ha poi seguito, giustificata dalle condizioni e dalla circolazione della variante Alpha.

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Neanche con il senno di poi? Dopo tutto, l’intervallo tra prima e seconda dose è stato riaccorciato…

No, direi che non è stato un errore allora e non lo è adesso. Semplicemente ci si è adeguati al virus. Con la variante Delta, le condizioni sono cambiate, perché questa versione virale può fare cose che le precedenti non riuscivano a fare, cioè infettare tranquillamente le persone con soltanto una dose di vaccino. Quindi si è dovuta cambiare la strategia vaccinale, e anche gli altri Paesi dovranno sicuramente fare altrettanto. Certamente, non aiuta il fatto che sia stata una reazione, perché se continueremo ad andare avanti così, saremo sempre un passo indietro. Bisognerebbe essere più pronti.

E se i numeri continueranno a salire a questi ritmi?

Non limitando il contatto tra le persone ed eliminando le mascherine, i modelli indicano che avremo 150-200mila casi al giorno, e lo stesso accadrà per i ricoveri: con questo ritmo di crescita, in cinque settimane arriveremo allo stesso numero di ospedalizzazioni di gennaio.

Allora non è vero che i vaccini hanno spezzato il legame contagi-ricoveri-decessi?

Sicuramente è vero che l’hanno cambiato, ma non annullato. Al momento, le indagini campionarie dicono che circa lo 0,6% della popolazione inglese è positiva. E abbiamo 1.700 ospedalizzazioni a settimana. L’ultima volta che abbiamo avuto lo 0,6% di persone positive erano i primi giorni di ottobre, e avevamo 3.500 ospedalizzazioni, il doppio. Adesso abbiamo una media settimanale di 22-24 morti al giorno, ad ottobre era di 55, quindi la metà, dovuta sicuramente ai vaccini. Si spera che questi numeri migliorino ulteriormente, man mano che le persone avranno le seconde dosi.

Sono state comunque prese delle contromisure?

In realtà il Governo non sta facendo niente per limitare questa nuova ondata di contagi. Fino a poco tempo fa si è cercato di spingere sulla vaccinazione, ma adesso le prime dosi sono in calo, e non è ben chiaro se perché i giovani sono più restii a vaccinarsi o per la mancanza di dosi di Pfizer, dal momento che gli under 40 non possono fare Astrazeneca.

Forse c’è stato un periodo, subito dopo Natale, in cui sembrava ci si stesse finalmente allineando con quello che consigliavano gli scienziati. Però è durato molto poco, e siamo di nuovo tornati in quella fase in cui i suggerimenti non sono neanche presi in considerazione dal Governo.

Vuol dire che è d’ora in poi si dovrà convivere con il coronavirus?

È ancora un po’ presto per capire cosa fare a lungo termine. Sicuramente dovremo convivere con il virus, ma non sappiano ancora in che modo e come cambieranno le nostre abitudini nel lungo termine. Si potrà forse convivere con la malattia e le sue conseguenze, ma non credo sia possibile farlo con centinaia di migliaia di casi al giorno. Anche se la gente finirà in misura minore in ospedale, ci sarebbero comunque centinaia di migliaia di persone in quarantena, che quindi non andranno a scuola o al lavoro. Bisognerà quindi capire quale sarà il nuovo equilibrio a cui i vaccini ci hanno portato.

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