Fukushima, è ancora alto il livello di radioattività nel pesce
Ad oltre un anno e mezzo dal terribile incidente che coinvolse la centrale nucleare di Fukushima Dai-ichi, la conta dei danni sembra ancora essere soltanto al suo inizio: il disastro provocato dal terremoto che devastò il Giappone l'11 marzo del 2011 è un ricordo troppo vicino nel tempo perché le sue nefaste conseguenze possano dirsi ormai superate e dimenticate e la contaminazione determinata dalla massiccia fuoriuscita di materiale radioattivo nell'Oceano è ancora ben lungi dall'essere un pericolo scampato. Un fatto del tutto prevedibile, del resto, ma che trova conferma anche negli ultimi dati analizzati e presentati da Ken Buesseler, geochimico e chimico marino presso la Woods Hole Oceanographic Institution, che ha pubblicato i risultati del suo lavoro in uno studio riportato da Science.
Buesseler si è servito, per le proprie osservazioni, della documentazione ufficiale resa pubblicamente disponibile e consultabile dal Ministero giapponese dell'agricoltura, della caccia e della pesca che, a partire dal 23 marzo 2011, si occupa di monitorare i livelli di contaminazione nucleare nella flora e nella fauna marina di tutta l'area di Fukushima e dintorni, lungo quel tratto di costa dove l'attività ittica è comprensibilmente cessata ed interdetta del tutto. Dai risultati del suo lavoro emergerebbe con evidenza come i livelli di isotopi radioattivi del cesio non soltanto non sono ancora di livello trascurabile ma, soprattutto, non starebbero affatto declinando, contrariamente a quanto si supponeva sarebbe accaduto: un fenomeno che Buesseler definisce «sorprendente» dal momento che, normalmente, il cesio non si deposita nei tessuti dei pesci stabilmente ma rifluisce nelle acque, seppur lentamente.
Il dato dimostrerebbe, dunque, in parte che non tutte le creature del mare rispondono nelle identiche modalità ad un fattore di stress quale è la radiazione nucleare: difatti, se è vero che, in particolare nei pesci che vivono a maggior profondità, sarebbero state riscontrate elevate concentrazioni di radionuclidi, il discorso non è uniforme per tutte le specie. Ma, soprattutto, indicherebbe che una sorgente di contaminazione da cesio sarebbe ancora attiva nelle acque in prossimità della ex centrale nucleare, probabilmente sedimenti contaminati depositatisi nei fondali dell'Oceano che proseguono ad essere fonte di radionuclidi. Una situazione ancora troppo poco chiara, spiega Buesseler, che potrebbe tradursi nella possibilità che almeno per un decennio il prelievo dai mari di tutta la zona sia ancora del tutto sospeso.
La situazione non è certamente di elevato allarme per il momento, ma è inevitabile concludere che le misurazioni dovranno essere il più accurate possibili nei mesi (e negli anni) futuri e che decisioni quale quella di riaprire alla pesca l'area non potranno esser prese con leggerezza. D'altronde, già uno studio precedente sui tonni nati al largo delle coste del Giappone e migrati verso il continente americano evidenziava come il pericolo di contaminazione, pur essendo presente, era ancora ben lontano dal costituire una preoccupazione per la salute umana. Come ha ricordato lo stesso Ken Buesseler «Non sto cercando di essere allarmista. Ma il livello di radioattività dei pesci è misurabile e consistente e questo è un piccolo incremento del rischio». Un rischio che potrebbe manifestarsi nel lungo periodo e, che soprattutto, è ancor più elevato per una popolazione quale è quella del Giappone, tra i primi Paesi al mondo per consumo di pesce.