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Fritjof Capra alla maturità: il senso del suo “La rete della vita”

Lo scrittore “new age” propone un approccio olistico alla vita che si scontra con la tradizionale visione evoluzionista.
A cura di Roberto Paura
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Basta con la competizione: cooperiamo. È questo il senso di un classico dello scrittore austriaco Fritjof Capra, fisico di formazione, divenuto noto in tutto il mondo per il suo besteller del 1975 Il Tao della fisica. Alla maturità 2013 il Ministero dell’istruzione propone ora, nella scelta “tema libero”, un suo brano da un libro meno famoso e più recente, La rete della vita. L’idea alla base è simile a quella del Tao della fisica e degli altri bestseller: una visione olistica della realtà che prende le distanze dal determinismo che sorregge il pensiero scientifico occidentale, in cui lo studio è limitato a una piccola parte del sapere e diviso in compartimenti stagni. Per Capra, tutto è connesso. Anche il mondo della fisica, che a noi sembra così distante, con i suoi atomi e i suoi quark, è parte di noi. E l’universo intero è un tutt’uno con gli esseri umani: distanze abissali da quelle di tanti filosofi che hanno costruito la cultura occidentale basandola sulla contrapposizione tra l’Io e la Natura. Forse qualche maturando che ha studiato filosofia sarà partito proprio da lì. Ma Capra si spinge molto più avanti, su terreni che ogni studente dovrebbe approfondire passata l’ansia della prima prova.

Dall'ipotesi Gaia alla rete della vita

Ne La rete della vita, Fritjof Capra propone una visione della natura simile a quella proposta da James Lovelock nel suo celebre volume Gaia, apparso negli anni ’70. Capra del resto dimostra di conoscere bene Lovelock e le sue teorie: Gaia è la biosfera, l’insieme degli esseri viventi presenti sulla Terra e delle relazioni intercorrenti tra loro e con il sistema-pianeta. La Terra, “Gaia”, è un grande organismo capace di autoregolarsi con lo scopo di mantenere le condizioni affinché la biosfera, ossia la vita, possa prosperare. Pur sviluppata da scienziati eminenti, quest’ipotesi stride con la logica tradizionale del pensiero scientifico. Fortunatamente, gli esperti del Ministero hanno proposto la traccia di Capra nell’ambito generale, non in quello scientifico, evitando così di riaprire vecchie polemiche.

Fritjof Capra.
Fritjof Capra.

Difatti, Fritjof Capra fa parte di quel gruppo di “hippie” degli anni ’70 che rifondò la fisica su basi nuove ed eccentriche, sviluppando un particolare interesse per le spettacolari e contro-intuitive conseguenze della meccanica quantistica. Nel Tao della fisica sosteneva l’esistenza di un collegamento tra le tesi dei padri fondatori della fisica quantistica e gli assunti di alcune religioni orientali, tra cui soprattutto il taosimo e il buddismo. Il suo libro divenne una Bibbia nei campus universitari californiani, dove in quegli anni gli studenti sognavano di cambiare il mondo e condividevano le visioni offerte da Capra nel suo libro, chiaramente ispirate all’uso di LSD. Rispetto a quegli anni, lo scrittore è diventato oggi meno radicale, ma più ambizioso: dall’idea che l’universo debba interpretarsi come un tutt’uno tra l’uomo e la natura, in La rete della vita propone una rilettura della storia evolutiva dal punto di vista della cooperazione.

Verso un superorganismo?

Un’argomentazione che ha fatto storcere il naso a molti evoluzionisti. È noto a tutti infatti che la selezione naturale, alla base del motore dell’evoluzione, non si fonda sulla cooperazione ma sulla competizione. L’idea della prevalenza del più forte si può considerare un’estremizzazione, forse. Ma resta sostanzialmente il principio-guida dell’evoluzione degli esseri viventi. Quando Capra scrive invece che l’evoluzione della vita dai microrganismi fino agli esseri macroscopici, come noi umani, non si è basata solo sulla competizione, ma anche sulla collaborazione altruistica, avanza una tesi che finora non ha trovato fondamento negli studi sull’evoluzione. È però un tema apertissimo e ricco di spunti interessanti. Leggendo un libro recente come Superorganismo, scritto da due biologi di fama, Bert Hölldobler e Edward O. Wilson, emerge con forza l’idea che la civiltà umana abbia molto a che fare con quella delle formiche: ciascun individuo lavora per il bene dell’intera collettività.

Un'edizione italiana del libro "The Web of Life" ("La rete della vita") di Fritjof Capra.
Un'edizione italiana del libro "The Web of Life" ("La rete della vita") di Fritjof Capra.

O almeno così dovrebbe sforzarsi di fare. Il successo dell’essere umano nel suo processo evolutivo, suggerisce Capra, sta nella sua capacità di fondare comunità e suddividere i compiti tra i diversi membri così da garantire il successo della comunità nel suo insieme. È tempo quindi che questa strategia venga estesa all’intero consesso umano su base mondiale. L’idea suona certo un po’ “new age”, e del resto Capra proviene da quella realtà, come dimostrava il suo successivo Il punto di svolta, in cui estendeva le considerazioni sulla fisica fatte nel suo primo libro ad ambiti come l’economia e l’ecologia. Eppure, si tratta di idee attualissime. Forse, il maturando che ha studiato la Guerra fredda potrà citare (qualora il suo insegnante o il suo libro di testa gliel’abbia accennata) la teoria dei giochi, e il modo in cui la soluzione cooperativa al “dilemma del prigioniero” sia preferibile alla soluzione competitiva. La teoria dei giochi spiega perché non ci siamo estinti in seguito a una guerra nucleare mondiale, per esempio.

Che la cooperazione e la solidarietà tra individui sia la vera forza dell’evoluzione, è tema ancora aperto tra gli studiosi. Però ciò non toglie che la proposta di Fritjof Capra sia un’esortazione per il futuro, soprattutto dei più giovani. Perciò non guasta affatto in una prova di maturità del 2013. Se anche la selezione naturale obbligasse la vita alla lotta per la supremazia del più forte, l’umanità dovrebbe iniziare a superare questa ineluttabilità. Del resto, un tempo gli spartiati – che non conoscevano Darwin – gettavano i loro neonati storpi da una rupe, affinché solo i migliori potessero crescere e riprodursi. E i nazisti – che invece Darwin lo conoscevano bene – mettevano nei campi di concentramento malati mentali e handicappati per favorire il successo della pura razza ariana. Se oggi invece non uccidiamo, ma tuteliamo in tutti i modi possibili i nostri simili più svantaggiati, vuol dire che stiamo già ragionando da un punto di vista diverso. Stiamo già costruendo una “rete della vita” in cui ciascuno ha il suo ruolo, in una prospettiva di vantaggio per l’umanità nel suo insieme, un “superorganismo” che dovrà trovare infine il suo equilibrio con il resto della biosfera in cui vive.

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