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Fortuna, la patata geneticamente modificata

La prima patata modificata per uso alimentare, geneticamente protetta dalla peronospora, è all’esame dell’Unione Europea dopo la richiesta della multinazionale Basf di coltivarla e commercializzarla. E i consumatori cosa ne pensano?
A cura di Nadia Vitali
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La prima patata modificata per uso alimentare, geneticamente protetta dalla peronospora, è all'esame dell'Unione Europea dopo la richiesta della multinazionale Basf di coltivarla e commercializzarla. E i consumatori cosa ne pensano

Appena poco più di centocinquanta anni fa poteva accadere, e accadde, in Europa, più precisamente nella fredda Irlanda, che una malattia colpisse le patate come una vero e proprio flagello, causando la grande carestia in un paese in cui una parte importante della popolazione poteva contare solo sui tuberi per la propria sopravvivenza; fortunatamente, di tempo ne è passato da quel terribile 1845 anche se la peronospora continua a far marcire, ogni anno, circa un quinto del raccolto di tutto il mondo.

La ricerca per cercare di debellare questo male dell'agricoltura ha fatto significativi passi avanti nel corso degli anni; così, trasferendo due geni di una patata sudamericana selvatica che cresce sulle Ande, naturalmente resistente alla peronospora, in una varietà di tubero estremamente diffuso in Europa chiamato Fontane, utilizzata in particolare per la produzione delle patatine fritte, i ricercatori hanno creato Fortuna, la prima patata geneticamente modificata che potrebbe essere destinata all'alimentazione umana.

La multinazionale tedesca della chimica Basf, infatti, ha presentato all'Unione Europea la richiesta di poter coltivare e commercializzare il prodotto, richiesta che, se accettata, porterà Fortuna sulle tavole a partire dal 2014; la medesima azienda ha già una licenza per distribuire Amflora, altra patata geneticamente modificata, ma utilizzata nell'industria della produzione della cellulosa.

Secondo Roberto Defez biotecnologo dell'Istituto di Genetica e biofisica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) di Napoli il risultato ottenuto dagli studiosi sarebbe assai significativo, in parte perché potrebbe comportare la riduzione dell'uso degli agrofarmaci, ovvero di tutti i prodotti utilizzati per contrastare le diverse piaghe che attaccano le piante, dall'altra allontanerebbe le «false paure» dei cittadini relative agli OGM.

Paure che riguardano una parte importante della popolazione se si considerano i dati dell'indagine condotta da Coldiretti/Swg, dai quali emerge che ben il 71% degli italiani non vorrebbe ritrovarsi una patata geneticamente alterata nel proprio piatto: insomma, sono ancora tantissimi quelli che preferiscono categoricamente alimenti "tradizionali" agli OGM, ritenendo questi ultimi meno sani e, senz'altro, senza vedere in essi il "miracolo" annunciato dalla scienza. Certo, probabilmente ciò è in parte dovuto proprio alla scarsa diffusione di questo genere di cibi e, dunque, se davvero così fosse, forse sarebbe il caso di aspettare che i tempi siano maturi.

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