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Covid 19

Fatica da Zoom, ecco perché le videochiamate ti fanno sentire così stanco

Con le limitazioni dovute al coronavirus, un numero crescente di persone utilizza servizi online come Zoom, Teams, Skype, Facebook e Whatsapp per lavorare da casa, seguire lezioni o parlare con familiari e amici. In tanti però trovano estenuante questa maratona di conversazioni e provano un profondo senso di stanchezza. A spiegare il motivo è il dott. Paul Penn a IFL Science: “Chiamate e chat video richiedono un maggiore sforzo e comportano più frustrazione rispetto alla comunicazione faccia a faccia, con l’aggravio della dissonanza cognitiva e della prestazione richiesta”.
A cura di Valeria Aiello
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Grazie ad internet, nonostante le norme di distanziamento sociale per fronteggiare la diffusione del coronavirus, milioni di persone possono continuare a lavorare da casa, seguire lezioni online oppure vedersi in chat con i propri cari. In questi mesi di emergenza, servizi come Zoom, Teams, Skype, Facebook e Whatsapp hanno infatti visto un boom di utilizzo, ospitando riunioni di lavoro, aule virtuali, incontri tra familiari, amici, fidanzati, e persino primi appuntamenti. Indipendentemente dalla reale utilità di queste conversazioni, sono in tanti, tuttavia, a trovare estenuante questa maratona di chat e videochiamate e provare un profondo senso di stanchezza senza aver compiuto il benché minimo sforzo fisico. Una sensazione che gli psicologi ormai chiamano “fatica da Zoom”, come spiegato dal prof. Paul Penn della School of Psychology della University of East London in un’intervista al britannico IFL Science.

Fatica da Zoom, ecco il motivo

Nel passaggio della comunicazione al digitale, spiega il prof. Penn, una linea di indagine pertinente è quella della teoria dei “cues filtered out”, ovvero il paradigma per cui la comunicazione mediata dal computer riduce la quantità e qualità delle informazioni trasmesse fra due o più soggetti per la limitazione o l’assenza dei segnali non verbali tipici della comunicazione faccia a faccia. “Nella comunicazione digitale, i segnali non verbali – espressioni facciali, direzione dello sguardo, gesticolazione – sono spesso assenti o distorti. In termini di videochat online, aspetti come il ritardo dello stream, la bassa risoluzione, l’angolazione dell’immagine, l’illuminazione o gli intoppi tecnici contribuiscono a rendere tali segnali più difficili da percepire e più complesso rispondere in modo appropriato”.

Sebbene possa sembrare banale, dice il prof., tutto questo rende il processo di interazione significativamente più estenuante rispetto alla conversazione faccia a faccia perché la comunicazione viene snaturata e diventa ancora più difficile quando, alla stessa chat, partecipano più persone. Recuperare gli indicatori non verbali di questo tipo di comunicazione è quindi ancora più complesso. “Il maggiore impegno richiesto per partecipare e interagire in videochat online richiede uno sforzo maggiore, comportando più frustrazione di quanto richieda nel mondo reale, quindi maggiore stanchezza e minore divertimento associati al loro utilizzo”.

La mancata risposta che, ad esempio, risulta da problemi di connessione, può contribuire a portare rapidamente sensazioni di irritazione e isolamento, aggravate a causa della cosiddetta “dissonanza cognitiva”, un’altra teoria descritta negli Anni ’50 per descrivere lo stress che deriva quando opinioni e credenze si trovano in contrasto tra loro.  “A causa della pandemia, adesso spesso siamo costretti a fare videochiamate al di fuori dei nostri termini abituali sia per molte interazioni, sia in contesti più formali, come il lavoro. Questo sta causando dissonanza nel modo in cui vediamo la capacità di chattare online tramite video. Da un lato, comprendiamo che è si tratta di una necessità, attribuendole un grande valore. Dall’altro, stiamo scoprendo che non ci piace che sia un sostituto esclusivo del contatto faccia a faccia. Per cui cerchiamo un modo per conciliare queste visioni contrastanti della videochat”.

C’è inoltre l’elemento della “prestazione richiesta nelle videochiamate” che non è necessaria quando si scrive in una chat o si parla al telefono. Ricevere una videochiamata a sorpresa ci mette immediatamente in difficoltà, sia nel caso in cui si avuta o meno la possibilità di darsi una sistemata. La percezione del bisogno di essere “pronti ad apparire per una videochiamata” porta con sé una maggiore pressione, specialmente in un contesto come quello che stiamo vivendo, nel quale molti noi si sentono già stressati e ansiosi, facendoci “risentire della sua intrusione in tutte le aree della nostra vita, comprese quelle in cui potremmo preferirle limitate a contesti off-line” afferma Penn.

L’ansia relativa all’immagine di se stessi rischia di emergere quando, come in app come Zoom, siamo costretti a sederci davanti a uno schermo che mostra anche il nostro volto a noi stessi. “Essere fisicamente consapevoli del fatto che altre persone possano vederci e forse analizzare come appariamo o ci comportiamo, oppure la preoccupazione di come appariamo a noi stessi, sono un’incredibile fonte di distrazione e possono rendere più faticoso seguire le conversazioni o una riunione”. Quanto ai rimedi, benché il professore non creda che esistano interventi basati sull’evidenza per arginare “la fatica da Zoom”, Penn suggerisce che “ridurre le videochiamate non necessarie può fornire un po’ di sollievo”, per cui sacrificare il video a favore di una telefonata può diminuire il carico di percezioni, facendoci sentire meno stanchi della routine da quarantena.

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