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Covid 19

Farmaci e vaccini contro il coronavirus: a che punto siamo

A sei mesi da quando l’Oms ha dichiarato Covid-19 un’emergenza internazionale, il quadro generale è molto diverso, tra terapie per combattere l’infezione e la ricerca di un vaccino efficace.
A cura di Valeria Aiello
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Giovedì 30 luglio saranno trascorsi sei mesi da quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato Covid-19 un’emergenza di sanità pubblica e internazionale, il più alto allarme ai sensi del diritto internazionale. “Allora si contavano meno di 100 casi di Covid-19 al di fuori della Cina e nessun decesso – ha ricordato il direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, nella conferenza stampa settimanale di ieri a Ginevra – . Oggi sono quasi 16 milioni i casi segnalati nel mondo, con oltre 640.000 morti”. Ghebreyesus ha parlato di un’accelerazione dell’epidemia nelle ultime sei settimane (“Il numero totale dei casi è quasi raddoppiato”) riferendosi ad aree come gli Stati Uniti e il Brasile, dove il virus ha un’alta intensità di circolazione, ma anche a Paesi come la Romania e Bulgaria che stanno vivendo una fase epidemica importante. In Italia, con una media di 200 contagi al giorno e le terapie intensive che si svuotano, la situazione è sotto controllo: attualmente, i positivi di cui si ha certezza sono 12.581 mentre i pazienti ricoverati con sintomi 740, di cui 45 in terapia intensiva.

I farmaci per il trattamento di Covid-19

Un quadro generale molto diverso cui si sono aggiunti i dati scientifici di quanto si è discusso in questi mesi, chiarendo non solo alcuni aspetti che riguardano l’infezione ma anche l’efficacia e tossicità dei principali trattamenti somministrati in assenza di terapie di provata efficacia per il Covid-19. È notizia di questi giorni che l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha sospeso l’autorizzazione all’utilizzo di due associazioni di antivirali (lopinavir/ritonavir e darunavir/cobistat) ampiamente somministrati nel periodo dell’emergenza febbraio-aprile, limitando il trattamento ai soli studi clinici. Alla luce delle osservazioni attualmente disponibili, l’Aifa ha sospeso inoltre l’uso dell’antimalarico clorochina e del suo derivato idrossiclorochina (da soli o  in associazione farmaci, come l’antibiotico azitromicina), nella profilassi dell’infezione da Sars-Cov-2, limitando anche in questo caso l’uso all’ambito degli studi clinici.

Alla luce delle prove di efficacia e sicurezza ad oggi disponibili, tra i farmaci autorizzati per l’uso off-label dall’Aifa nella terapia dei pazienti con Covid-19, le eparine a basso peso molecolare per contenere gli eventi trombotici conseguenti allo stato iperinfiammatorio causato da Covid-19, mentre l’Ema, l’Agenzia europea per i medicinali, ha raccomandato l’approvazione condizionata all’immissione in commercio dell’antivirale remdesivir e avviato inoltre una revisione sull’uso del cortisone (desametasone). Quanto al plasma iperimmune, gli anticorpi monoclonali (tocilizumab) e altri farmaci simili, si attendono i risultati di nuove ricerche, anche se i dati preliminari sul plama sono incoraggianti.

Il vaccino contro il coronavirus

Quella di un farmaco efficace contro l’infezione da Sars-CoV-2 non è la sola corsa in atto. La ricerca di un vaccino in grado di fermare l’epidemia di coronavirus procede sostenuta e la lista dei candidati è lunga: sono 163 di cui 23 già in fase clinica (compresi quello sviluppato dal Jenner Institute di Oxford e dalla società di biotecnologie statunitense Moderna per cui è partita la sperimentazione di fase 3) mentre gli altri 140 sono a livello di studi preclinici in laboratorio e sugli animali che serviranno per decidere se procedere o meno alle prove sull’uomo. Tutti si basano su uno di questi quattro meccanismi: acidi nucleici (Dna o Rna, come nel caso dei vaccini sviluppati da Moderna e dalla tedesca BionTech congiuntamente con la statunitense Pfizer); adenovirus ricombinanti (Oxford e la cinese CanSino Biologics); proteine virali; virus inattivati o attenuati.

L’obiettivo principale è quello di indurre lo sviluppo di anticorpi contro la proteina spike del coronavirus che possano prevenire l’infezione. Secondo i risultati di uno studio recentemente pubblicato su Nature, gli anticorpi tenderebbero a scomparire 2-3 mesi dopo la guarigione, per cui sarà importante valutare la durata della memoria immunologica indotta dalle diverse formulazioni, così come il possibile sviluppo di un’immunità mediata da linfociti T specifici, in grado di riconoscere e attaccare le cellule infettate da Sars-Cov-2.

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