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Etiopia, il furto delle terre a danno dei popoli indigeni

I numerosi popoli che vivono nella regione della bassa valle dell’Omo sono da anni sotto la minaccia di perdere il proprio territorio e la propria libertà. E negli ultimi tempi il governo di Addis Abeba sta intensificando la repressione contro gli indigeni, con lo scopo di distruggerne i villaggi per ampliare le piantagioni di canna da zucchero.
A cura di Nadia Vitali
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I numerosi popoli che vivono nella regione della bassa valle dell Omo vivono da anni sotto la minaccia di perdere il proprio territorio e la propria libertà. E negli ultimi tempi il governo di Addis Abeba sta intensificando la repressione contro le tribù, con lo scopo di distruggerne i villaggi per ampliare le piantagioni di canna da zucchero.

Un bacino fluviale che, oltre a custodire tutta  l'incredibile bellezza della natura, è considerato un vero e proprio tesoro sia dal punto di vista antropologico sia da quello geologico: lì gli scheletri di australopitechi sono stati rinvenuti, già da decenni, assieme a quelli dei nostri primi antenati, accanto a quegli utensili che costituirono la prima forma di tecnologia del genere umano. Il fiume Omo è stato prima amatissimo dagli avventurosi ed impavidi esploratori di fine ‘800 che ne hanno navigato il corso alla ricerca di fonte e foce, poi nel 1980 è diventato assieme a tutta la sua valle patrimonio dell'umanità dell'UNESCO. In questo angolo meraviglioso di Etiopia, territorio dalla ricchissima biodiversità in cui diversi ecosistemi convivono con una delle ultime foreste pluviali scampata alla desertificazione dell'area, abitano da secoli popolazioni indigene: l'esistenza di queste genti è strettamente correlata al fiume che rappresenta, per essi, non solo una essenziale fonte di sostentamento ma anche uno dei fondamenti su cui si regge un'intera cultura tradizionale. Si chiamano BodiDaasanachKara, Mursi, Kwegu, Hamar, Chai, Turkana; alcuni vivono stabilmente presso le rive del fiume, altri più distanti ma avendo comunque accesso alle risorse dell'area, grazie ad una perfetta rete di alleanze tribali. Tutti stanno subendo abusi e repressioni da parte del governo centrale.

Il land grabbing – Quel territorio, che dovrebbe godere di una tutela particolare perché tra i siti protetti dall'UNESCO e perché dimora di oltre 200 000 indigeni, è in realtà seriamente minacciato dall'espansione delle piantagioni di canna da zucchero voluta dal Governo di Addis Abeba. Le notizie riportate da Survival dipingono un drammatico quadro della situazione in cui violenza e repressione sono all'ordine del giorno e in cui gli annunci di pestaggi, stupri ed arresti indiscriminati rivolti contro le tribù dell'Omo stanno diventando pericolosamente frequenti. Se il Governo ha deciso di sottrarre la terra a quelle popolazioni, è evidente che, per perseguire il proprio obiettivo, ha intenzione di ricorrere a tutti i mezzi possibili, ignorando anche le sollecitazioni degli organismi ONU che stanno iniziando a puntare gli occhi sulla delicatissima situazione.

In fuga senza una meta – La messa in atto di una strategia del terrore, tramite abusi dei diritti umani che proseguono indisturbati nel silenzio e nell'inconsapevolezza generale, potrebbe costringere, con buone probabilità, una parte della popolazione a fuggire. Le denunce parlano di tre uomini, appartenenti all'etnia Bodi, uccisi di botte nelle prigioni dell'Etiopia nel corso del mese di gennaio. Accanto a quello che doveva essere un sito di importanza fondamentale, sia per la scienza sia per la cultura, le ruspe sono all'opera per spianare il terreno dove troveranno posto le coltivazioni, costringendo gli abitanti ad abbandonare quell'area e, con essa, il proprio stile di vita, basato principalmente sull'allevamento. Nelle intenzioni del governo etiope, che forse mira a spostare tutta la gente della valle dell'Omo in un unico luogo, il furto delle terre sarà coperto dalla maschera dello «sviluppo»: uno sviluppo di cui, tuttavia, a godere i frutti non saranno certamente gli autoctoni, bensì gli investitori stranieri e uno Stato che sta macchiando le proprie mani di reati e crimini gravissimi.

I numerosi popoli che vivono nella regione della bassa valle dell Omo sono da anni sotto la minaccia di perdere il proprio territorio e la propria libertà. E negli ultimi tempi il governo di Addis Abeba sta intensificando la repressione contro gli indigeni, con lo scopo di distruggerne i villaggi per ampliare le piantagioni di canna da zucchero.

La distruzione dell'habitat – Gli abitanti della valle dell'Omo, in verità, si sono trovati, loro malgrado, già da diversi anni a combattere contro i nefasti effetti di un «progresso» rispetto al quale non vengono chiamati a partecipare in alcun modo: il progetto partito nel 2006 per la mastodontica diga Gibe III, la cui costruzione è stata appaltata dal governo etiope ad una società italiana e che è ormai giunta ormai ad un terzo del suo completamento, avrà un impatto devastante non solo sull'ecosistema di tutta l'area, ma anche sulle popolazioni indigene che vivono ai margini del fiume e che, invece, dovrebbero essere l'ultimo baluardo contro la devastazione del territorio. In molti concordano sul fatto che la portata dell'Omo subirà una drastica diminuzione che andrà ad influire anche sul livello delle acque del lago Turkana, poco oltre il confine keniota, nel quale il fiume si getta: anni di attivismo, proteste e denunce di associazioni mondiali non sono servite a fermare quest'opera e, purtroppo, a quanto pare, la distruzione è appena iniziata.

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