Etichette al grafene commestibili e ‘stampate’ sul cibo: così scovano i batteri
Etichette “intelligenti” commestibili e sensori innovativi posizionati su indumenti, cibo e oggetti di uso quotidiano grazie al grafene, il materiale delle meraviglie costituito da un unico strato bidimensionale di carbonio. Non è fantascienza, ma il risultato raggiunto da un team di ricerca del Laboratorio di Chimica presso l'Università Rice di Houston (Stati Uniti d'America), che potenziando il suo strumento LIG (laser-induced graphene), cioè in grado di generare grafene attraverso un laser, è riuscito a “stampare” strati di grafene su innumerevoli materiali. Fra essi il pane (in particolar toast), patate, noci di cocco, tessuti di vario genere, carta, cartone, sughero, legno e moltissimo altro ancora.
Il grafene, come suggerisce il nome dello strumento LIG, tecnicamente viene indotto, dunque può emergere su qualunque materiale o sostanza con sufficiente carbonio. Ma a cosa serve creare questi strati di grafene su cibo e materiali? Il primo pensiero del professor James Tour, uno dei chimici più autorevoli al mondo nel campo delle nanotecnologie, è rivolto all'alimentazione. Con una simile procedura si potrebbero creare etichette informative (ad esempio con l'origine dei prodotti, data di scadenza e altri dati) direttamente sul cibo. Oltre a essere commestibili, queste etichette garantirebbero risparmio di inchiostro, carta e altri materiali che hanno un impatto ambientale. Ma lo strato di grafene può funzionare anche come sensore biologico, indicando la presenza di batteri potenzialmente pericolosi (come l'escherichia coli) sui cibi, illuminandosi all'occorrenza. Al momento Tour e colleghi hanno stampato per test soprattutto silhouette di civetta, il logo dell'ateneo americano.
Gli studiosi hanno perfezionato il proprio laser in modo da renderlo operativo anche all'aria aperta e a temperatura ambiente, un passo in avanti notevole, considerando che nei primi esperimenti era necessario un ambiente di laboratorio controllato. Ciò amplierà sensibilmente il campo d'azione. Tra le prime applicazioni possibili potrebbero esserci anche tracce conduttive in grado di riscaldare gli indumenti o sensori speciali per la cosiddetta “elettronica flessibile”.
Come ha sottolineato il professori Tour, autore principale dello studio, “molto spesso non vediamo il vantaggio di qualcosa finché non la rendiamo disponibile”, dunque le applicazioni del grafene indotto potrebbero essere molte più di quelle ipotizzate al momento. I dettagli su questa affascinante proceduta sono stati pubblicati sulla rivista scientifica specializzata ACS Nano.
[Credit: Rice University/Jeff Fitlow]