Eris, il pianeta-nano che potrebbe spiegare la materia oscura
Se oggi il sistema solare non ha più nove pianeti, ma solo otto, è colpa di Eris. Il nome attribuitogli dagli astronomi era del resto azzeccato: Eris, la dea della discordia. Quando venne scoperto, nel 2003, dimostrò che oltre l’orbita di Nettuno esiste un numero significativo di pianeti-nani grandi quanto e anche più di Plutone (Eris lo supera del 27% circa). Bisognava allora allargare il novero di pianeti del nostro sistema solare, includendo tutti i fratelli minori e maggiori di Plutone? Sembrava davvero troppo. Così, nel 2006, l’Unione astronomica internazionale prese la storica decisione di ridimensionare Plutone a pianeta-nano come Eris, riducendo il numero di pianeti ufficiali del sistema solare a otto. Per Eris sembra arrivato ora un nuovo momento di notorietà dopo che un’affascinante teoria sulla materia e l’energia oscura indica proprio questo remoto pianetino, con la sua minuscola luna, come il possibile candidato a risolvere in un colpo solo i due più grandi misteri della cosmologia contemporanea.
La gravità del vuoto
Secondo Dragan Hajdukovic, fisico del CERN che lavora su soluzioni alternative al problema dell’energia e della materia oscura, i due misteri sono correlati. Anche altre teorie prendono in considerazione quest’ipotesi, ma Hajdukovic ha pubblicato ora sulla rivista Astrophysics and Space Science non solo un modello esplicativo ma anche un metodo per metterlo alla prova. La sua teoria parte dall’energia del vuoto. È noto che il vuoto più estremo che possiamo trovare negli abissi interstellari è in realtà un ribollire continuo di particelle virtuali che compaiono e scompaiono in pochi istanti, distruggendosi a vicenda e producendo nell’annichilazione grandi quantità di energia.
Ebbene, secondo il fisico montenegrino queste particelle virtuali possiederebbero in realtà delle cariche gravitazionali opposte. Un po’ come le cariche elettriche, che sono negative e positive. Interagendo con un campo gravitazionale, queste particelle creerebbero un secondo campo di forza, anch’esso gravitazionale, che si andrebbe a sommare a quello tradizionale. Ciò spiegherebbe perché le galassie sembrano possedere più materia di quanto risulta all’osservazione: non a causa di una materia ancora sconosciuta, ma di un secondo campo gravitazionale prodotto dalle particelle virtuali nel vuoto, che fa sì che l’universo sembri “più pesante”. Ma non è finita qui: lo spaziotempo stesso, a causa delle particelle virtuali, possiederebbe una piccola carica, repulsiva e opposta a quella attrattiva della forza gravitazionale classica. Ciò spiegherebbe perché l’universo, invece di contrarsi, si stia espandendo a una velocità accelerata. L’energia oscura non sarebbe altro che un’energia repulsiva effetto della carica posseduta dal tessuto spaziotemporale.
La precessione di Disnomia
Sembra troppo bello per essere vero: due misteri risolti in un colpo solo. L’ipotesi implica tuttavia una vera ridefinizione della fisica, per cui non potrebbe essere accettata senza prove schiaccianti. Hajdukovic è convinto di poterle presentare attraverso l’osservazione di Eris e della sua piccola luna, Disnomia. Entrambi si trovano così distanti dal Sole da far sì che gli effetti della gravitazione relativistica siano trascurabili, a differenza degli altri pianeti del sistema solare che ne risentono fortemente per via della curvatura dello spaziotempo prodotta dalla nostra stella. Lì, il moto di Disnomia e di Eris dovrebbe essere regolato dalla sola gravitazione classica newtoniana. Se così fosse, la precessione del moto di Disnomia intorno a Eris sarebbe di 13 secondi di arco in un secolo. Nel caso in cui esistesse davvero una gravità quantistica, come sostiene il fisico del CERN, la precessione sarebbe negativa, pari a -190 secondi di arco in un secolo.
Possiamo scoprire chi ha ragione? Forse sì. La prossima generazione di telescopi terrestri, tra cui l’enorme E-ELT in costruzione in Cile, potrebbe essere sufficientemente potente da calcolare con precisione la precessione di Disnomia intorno a Eris. In alternativa, il nuovo telescopio spaziale James Webb che sarà in orbita, auspicabilmente, nel 2015, potrebbe riuscire laddove i telescopi terrestri non possono. L’impresa non è facile, né promette di fornire risultati a breve. Ma la speranza è che, come la teoria di Einstein poté essere confermata dalla sua spiegazione del moto anomalo di Mercurio intorno al Sole, la teoria di Hajdokovic possa trovare conferme attraverso l’osservazione di un pianeta nano all’estremo opposto del nostro sistema solare.