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Ecco perché il cervello non si accorge degli errori nei film

I nostri sensi non sono del tutto perfetti: per questo, ad esempio, non registriamo i mutamenti repentini da una scena e l’altra o non riusciamo ad avere una precisa percezione della quantità.
A cura di Nadia Vitali
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Qualcuno si è mai accorto del fatto che, in una scena di Pretty Woman, il cornetto che sta mangiando Julia Roberts si trasforma “per magia” in una frittella da un fotogramma all'altro? O della maglietta del giovane maghetto che cambiava forma della scollatura in Harry Potter e l’Ordine della Fenice? Assai probabilmente no, a meno di non essere dei perfetti ed infallibili osservatori. Eppure episodi del genere sono più ricorrenti di quanto immaginiamo nei film: come mai, dunque, il nostro cervello difficilmente si preoccupa di registrarli? I nostri occhi sono molto spesso ciechi ai piccoli e rapidi cambiamenti che possono avvenire non soltanto sullo schermo ma anche nella vita reale: questo perché il nostro sistema visivo tende a mettere le informazioni recepite nel presente in continuità con quelle del passato immediato.

Una visione armonizzata, sacrificando qualche informazione

A chiarire questo meccanismo sono Guido Marco Cicchini, Giovanni Anobile, e David Burr, ricercatori presso l'Università di Firenze e l'istituto di neuroscienze del CNR nonché autori di un studio i cui risultati sono stati resi noti attraverso un paper pubblicato Proceedings of the National Academy of Science. Si tratta di stratagemmi messi a punto per armonizzare la nostra percezione del mondo: in caso contrario, rileveremmo dati in continuazione creando una certa discontinuità nelle informazioni acquisite. Le cose del mondo che ci circondano non sono soggette ai mutamenti repentini che vediamo nei film: il nostro cervello deve aver acquisito che non ci sono cambiamenti improvvisi (salvo che non si tratta di sopravvenuti ed inattesi pericoli, ma in questo caso ad essere attivati sono tutti i sensi) tali da rendere la realtà che vediamo instabile sotto ai nostri occhi. Il monitor che stiamo fissando in questo momento difficilmente diventerà più grande o si trasformerà in qualcos'altro, nel giro dei prossimi secondi. Insomma il cervello presumibilmente ha acquisito che può basarsi su quanto visto poc'anzi. e, per questa ragione, tende costantemente ad unire gli impulsi che percepisce come simili tra loro finendo per costruire una sorta di media tra essi. Questo accade perché i nostro apparati sensoriali, in ogni caso, non sono perfetti: al pari di ciascun sistema di comunicazione, spiega il dottor Cicchini nel comunicato del CNR, essi contengono fluttuazioni casuali e rumore di fondo. Ora se tali fluttuazioni venissero registrate, potrebbero essere interpretate come dei veri e propri cambiamenti nel mondo esterno, allertando di conseguenza gli altri sensi e provocando probabilmente dispendio di energia: da qui l'esigenza per il cervello di ottimizzare e, dunque, di basarsi su una percezione stabile e continua, anche a costo di sacrificare la correttezza di ciascuna singola informazione.

Nel mondo reale, un cornetto non diventa una frittella in una frazione di secondo, quindi il campo di continuità percettiva stabilizza ciò che vediamo nel corso del tempo, portando a una più prevedibile sensazione stabile del mondo.

Obiettivo stabilità

I ricercatori hanno spiegato come lo stimolo precedente influenzi quello del presente, servendosi di un esempio che riguarda, questa volta, la quantità e non la qualità di un oggetto: se il primo ha registrato 20 cose e il secondo 30, all'occhio ne appariranno all'incirca 25; al contrario, se lo stimolo precedente conteneva 40 e il presente 30, sembrerà invece averne 35. Secondo i risultati dello studio, dunque, il nostro meccanismo percettivo si basa su una media di ciò che abbiamo esperito negli ultimi quindici secondi: integrando gli stimoli dell'immediato passato con il presente, il nostro cervello è così al riparo da un'ipersensibilità che altererebbe non poco le nostre capacità cognitive. Immaginate di essere costretti a seguire le fluttuazioni innescate da qualunque ombra, da ciascun movimento, da ogni piccolissimo muscolo facciale del nostro interlocutore: tutto ci sembrerebbe in costante trasformazione e, concludono i ricercatori, l'effetto potrebbe essere sconvolgente.

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