Ecco come il nostro cervello viaggia nel tempo
Vi ricordate di Marcel Proust e del suo viaggio intrapreso nelle memorie più remote semplicemente assaggiando l'antico sapore della madeleine? Un gusto, un profumo hanno talvolta il potere magico di riportarci improvvisamente in realtà che credevamo dimenticate, scuotendo dal profondo le emozioni: è il nostro cervello, prima ancora del nostro cuore, il responsabile di questi particolari "viaggi nel tempo" che si presentano diversi da altri ricordi in ragione dell'abbondanza di particolari che li contraddistinguono.
Uno studio per "salvare" la memoria
In un paper pubblicato dal Journal of Neuroscience, un gruppo di ricercatori della Vanderbilt University di Nashville mostra in che modo si è riusciti a fare nuova luce sulla maniera in cui la nostra mente elabora memorie di questo tipo analizzando l'attività cerebrale di alcuni individui intenti a svolgere un semplice esercizio di memoria. Il Professor Sean Polyn, a capo del gruppo di studio, sostiene che l'individuazione delle diverse regioni cerebrali coinvolte nel processo della raccolta delle "informazioni archiviate" è estremamente importante, soprattutto per tutte quelle persone la cui memoria viene severamente danneggiata da malattie come l'Alzheimer o l'epilessia: i dati raccolti grazie al lavoro, infatti, potrebbero consentire di identificare gli effetti collaterali sulla memoria dei pazienti di alcuni farmaci.
Da tempo alla scienza è noto il ruolo centrale del lobo temporale mediale nell'elaborazione dei ricordi: basti pensare al fatto che un danno a questa area causa amnesie o fenomeni correlati. Ma questo non chiarisce, ad esempio, in che modo una memoria personale abbia un'incidenza maggiore. È infatti evidente – e lo sappiamo bene – che non tutti i ricordi vengono richiamati con la stessa potenza; la madeleine di Proust rappresenta una sorta di massimo raggiungibile, collocato su uno spettro al cui opposto ci sono singoli dettagli isolati e scarni. Il Professor Polyn, assieme ai suoi colleghi, ha messo a punto un modello che tiene conto di come le strutture del lobo temporale mediale sopportino il recupero dei ricordi: in particolare, secondo tale modello la regione anteriore sarebbe connessa con il ripescaggio di un'informazione ma senza indicare in che modo questa sia dettagliata. La regione posteriore, invece, suggerisce che la persona in questione sta esperendo un "viaggio nel tempo".
L'esperimento
Dopodiché, gli scienziati hanno testato il proprio modello su 20 persone (7 maschi e 13 femmine) di età compresa tra i 18 e i 35 anni. Ricorrendo alla risonanza magnetica funzionale hanno indagato nel cervello dei volontari ai quali era stata data una lista di 24 nomi di oggetti comuni. A seconda dell'oggetto scelto, si chiedeva ad essi di rispondere ad alcune domande (se era piccolo o grande, animato o inanimato) con l'intento di spingerli a concentrarsi su di esso. Dopo una breve pausa, ai partecipanti è stato chiesto di elencare le parole date prima nell'ordine in cui venivano loro in mente naturalmente. I ricercatori hanno così osservato che quando l'attività cerebrale mostrava che essi stavano ricordando un oggetto a cui si associavano ricchi dettagli e particolari la risposta successiva era probabilmente l'oggetto presente immediatamente dopo sulla lista. Viceversa quando la risonanza magnetica indicava che l'oggetto si era impresso come una memoria isolata e poco significativa, la persona avrebbe richiamato un nome presente in un altro punto della lista.
Ad esempio: al partecipante venivano date alcune parole, nell'ordine "cavallo, finestra, robot, barca". La parola "cavallo" risveglia nell'individuo molti ricordi, al punto da spingerlo ad un "viaggio nel tempo": a quel punto, quando gli verrà chiesto di dire un altro oggetto presente sulla lista egli si ricorderà immediatamente, con tutta probabilità, della "finestra". Ma se, invece, il cavallo non ha suscitato emozioni e immagini profondamente radicate nella mente, verosimilmente il partecipante risponderà "barca". Perché?
Il codice temporale di archiviazione dei ricordi
Probabilmente perché il cervello registra ricordi associandoli ad un codice temporale che collega tutto quello che è stato immagazzinato dai sensi nel momento dell'esperienza: «i viaggi nel tempo consentono al cervello di recuperare quel codice temporale che rende così accessibili i ricordi correlati» ha spiegato Polyn. Un codice che è qualcosa di molto simile ai dati che vengono registrati su un file al momento della sua creazione: la nostra mente agisce similmente, anche se è molto più flessibile rispetto ad un computer, di modo che il codice temporale porta a recuperare memorie archiviate nello stesso intervallo di tempo. Per cui la formazione di una memoria forte porta con sé odori, suoni, emozioni e tutto quello che ha accompagnato quell'esperienza: e così possiamo, per un istante, illuderci di essere ancora a vivere le nostre giornate felici dell'infanzia, come accadeva a Proust.