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E l’uomo creò i “materiali viventi”

I ricercatori statunitensi del MIT hanno dimostrato come sia possibile mettere a punto materiali ibridi, combinando alcune caratteristiche degli organismi viventi con quelle delle particelle non organiche.
A cura di Nadia Vitali
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Escherichia Coli (fonte Wikipedia)
Escherichia Coli (fonte Wikipedia)

Saranno ibridi, metà viventi e metà inanimati, in grado di condurre calore ed elettricità o di emettere luce ma, al contempo, di reagire con l’adattamento agli stimoli ambientali, magari modificando le proprie dimensioni: saranno probabilmente i materiali che risponderanno a molte delle esigenze dell’uomo, in un futuro che adesso appare un po’ più vicino dopo la pubblicazione dell’ultimo lavoro firmato dai ricercatori del Massachusetts Institute of Technology ed apparso sulla rivista Nature Materials.

Materiali che si auto-assemblano e si auto-riparano

Gli ingegneri guidati dal Professor Allen Y. Chen e Timothy K. Lu si sono ispirati a materiali naturali come le ossa, con la loro matrice di minerali ed altre sostanze che includono anche cellule viventi, per rendere le cellule batteriche capaci di produrre naturalmente un biofilm in grado di incorporare nanoparticelle di oro. Il nuovo prodotto dei ricercatori costituisce la dimostrazione più semplice e rudimentale di quello che, probabilmente, sarà l’approccio per la messa a punto di una futura generazione di materiali che potranno servire per la realizzazione di dispositivi complessi come celle solari più funzionali o apparecchi di diagnostica medica maggiormente accurati.

Il punto di partenza di Lu e colleghi è stato il famigerato Escherichia Coli, scelto in ragione della sua naturale tendenza a formare colonie che prendono le fattezze di un sottilissimo strato, un biofilm appunto, contenente proteine amiloidi che conferiscono al batterio la capacità di attaccarsi alle superfici. I ricercatori hanno quindi modificato le subunità di tali proteine, chiamate CsgA, aggiungendo frammenti di proteine chiamati peptidi: tali peptidi sono quelli che catturano i materiali non viventi, aggiungendoli e rendendoli parte integrante del biofilm, creando come risultato finale un materiale composito, innovativo e, soprattutto, capace di autoassemblarsi, dando così la possibilità di immaginare la potenziale base di partenza per materiali che si ripareranno da soli. Spiega il dottor Lu:

La nostra idea è quella di unire insieme i mondi dei vivente e del non vivente al fine di realizzare materiali ibridi, che abbiano al proprio interno cellule viventi ma che siano anche funzionali. Un modo interessante di pensare alla sintesi dei materiali, radicalmente diverso da quello attuale che si rifà sempre ad un approccio dall'alto verso il basso.

Cellule che comunicano

Per raggiungere tale obiettivo, i ricercatori hanno dovuto riprogrammare il genoma dei batteri di Escherichia coli, affinché producessero CsgA ma soltanto in specifiche condizioni e, in particolare, in presenza di una molecola chiamata AHL: questo ha dato agli studiosi la possibilità di controllare la produzione delle cosiddette curli fiber, contenute nel biofilm. Gli stessi peptidi inseriti nelle fibre erano stati precedentemente ingegnerizzati per renderli capaci a legarsi con le particelle d'oro. Il biofilm è stato così in grado di produrre microscopici circuiti elettrici in nanofili di oro. Infine i ricercatori hanno dimostrato che le cellule sono inoltre coordinate tra di loro, in modo da controllare "comunicando" la produzione di CsgA e dunque la composizione del biofilm.

Il traguardo dei materiali ibridi potrebbe avere numerose applicazioni soprattutto nel settore dell'energia, consentendo di progettare batterie sempre migliori; ma gli studiosi del MIT guardano anche alla possibilità di sfruttare il biofilm per tecniche in grado di convertire gli scarti alimentari in biocarburanti. A pensarci, sembra sempre più incredibile che tutto parta da quel piccolo batterio che vive negli intestini di molti animali, incluso il nostro.

[foto: Wikipedia]

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