È improbabile che il coronavirus sulle superfici degli ospedali sia infettivo
Il rischio di contagiarsi attraverso le superfici contaminate dal coronavirus SARS-CoV-2 è stato ampiamente dibattuto soprattutto durante la prima ondata della pandemia di COVID-19, quando ancora sapevamo poco del patogeno pandemico. Sebbene infatti la trasmissione attraverso le goccioline respiratorie grandi (droplet) e piccole (aerosol) sia sempre stata considerata quella principale, a lungo sono state studiate le altre possibili "vie". Non a caso sono entrati nella nostra quotidianità gel idroalcolici per le mani, igienizzazioni/sanificazioni di routine e altre procedure per abbattere il potenziale rischio, soprattutto nei luoghi più sensibili. Ora, grazie a un nuovo studio, è stato dimostrato che è improbabile che le particelle del coronavirus rilevate sulle superfici degli ospedali (tra gli ambienti più a rischio in assoluto) siano infettive.
A determinarlo è stato un team di ricerca americano guidato da scienziati della Scuola di Medicina dell'Università della California di Davis, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi dello One Health Institute, del Dipartimento di microbiologia medica e immunologia, del Genome Center e di altri istituti dell'ateneo. Gli studiosi, coordinati dalla professoressa Angela Haczku, docente presso la Divisione di pneumologia, terapia intensiva e medicina del sonno, sono stati tra i primi a dimostrare che le particelle virali del SARS-CoV-2 potevano essere rilevate sulle superfici degli ospedali frequentati dai pazienti con COVID-19. Per comprendere quale fosse il rischio di trasmissione e la diffusione della contaminazione, ad aprile e agosto 2020 i ricercatori prelevarono tamponi ambientali da vari reparti dell'ospedale universitario (UC Davis Medical Center), nelle aree frequentate dal personale sanitario e dai filtri HVAC.
Dalle analisi di laboratorio è emerso che, nonostante durante la seconda ondata di agosto ci sia stato un incremento significativo di pazienti positivi nel nosocomio, il numero di tamponi positivi è sceso sensibilmente, passando dall'11 percento di aprile al 2 percento di agosto. Secondo la professoressa Haczku e colleghi ciò sarebbe dipeso da una migliore gestione dei pazienti ricoverati in terapia intensiva e dal miglioramento delle procedure di sanificazione e igienizzazione degli ambienti ospedalieri. Ora, grazie al sequenziamento del genoma dei campioni di RNA virale recuperati dalle superfici, è stato dimostrato che pur contenendo una sequenza genomica quasi intatta non erano infettivi. Nessuno dei campioni positivi (11 su 224 in totale) ha infatti causato effetti citopatici nelle cellule in coltura esposte; ciò suggerisce che l'RNA recuperato non era associato a virioni intatti o in numero insufficiente da determinare infettività. “Questa scoperta supporta l'ipotesi che le superfici contaminate potrebbero non essere un modo importante per diffondere la malattia COVID-19”, hanno scritto gli scienziati in un comunicato stampa.
“Per la prima volta, per quanto ne sappiamo, siamo stati in grado di determinare la sequenza del genoma virale da campioni di tamponi di superficie ottenuti in un ambiente ospedaliero”, ha dichiarato il dottor David Coil, ricercatore presso l'UC Davis Genome Center. “Abbiamo trovato SARS-CoV-2 in campioni che sono risultati negativi mediante la RT-PCR, ciò suggerisce che la tecnologia di sequenziamento è superiore per il rilevamento dei virus nei campioni ambientali”, ha aggiunto l'esperto. Grazie a queste accurate procedure di sequenziamento è inoltre possibile identificare la fonte della contaminazione e comprendere il “percorso” dell'infezione. I dettagli della ricerca “SARS-CoV-2 detection and genomic sequencing from hospital surface samples collected at UC Davis” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica PloS ONE.