Durban, una delusione ed un pianeta che sta sempre peggio
Forse gli orsi polari, dopo che molti esemplari tra essi sono nati ermafroditi a causa dell'inquinamento chimico che infesta l'Artico, dovranno effettivamente rassegnarsi a scomparire nel giro di pochi decenni; e con loro, innumerevoli saranno le specie che subiranno i catastrofici danni dell'effetto serra che nessuno ha avuto volontà di frenare. E se qualcuno aveva riposto qualche speranza in Durban, il compromesso che è uscito dalla diciassettesima conferenza sul cambiamento climatico ha immediatamente sepolto tutti i buoni propositi per il futuro.
A quanto pare, il disastro incontro al quale sta andando il pianeta, preannunciato già da tempo da un preoccupante riscaldamento globale e dagli eventi catastrofici in costante incremento, non sembra interessare più; o, quanto meno, la sua gravità non deve essere stata del tutto compresa dai vertici governativi degli stati mondiali. Se così non fosse, le delegazioni sarebbero andate via dal Sudafrica con qualcosa di più di un accordo su base volontaria che sembra riportare indietro di parecchi anni le politiche ambientali.
Nessun impegno vincolante, insomma, come avrebbe voluto la danese Connie Hedegaard, il combattivo commissario europeo per il clima, bensì un accordo da siglare entro il 2015 per la riduzione dei gas serra; un compromesso che, nella sostanza, non interviene minimamente per aiutare tutte le popolazioni che stanno vivendo in prima persona gli effetti del riscaldamento globale. Anche l'istituzione del fondo verde per i paesi in via di sviluppo resta un grande punto interrogativo: si è parlato della sua gestione e della sua sede ma nessun chiarimento è arrivato in merito all'aspetto più importante, ovvero la provenienza dei 100 miliardi di dollari indispensabili agli stati per convertirsi alle tecnologie pulite.
Chiarendo che un accordo, anche di questo tipo, è sempre meglio di nessun accordo, resta la grande amarezza di ambientalisti e scienziati che hanno visto gli Stati Uniti voler proseguire sulla linea di non collaborazione che li caratterizza e molti paesi emergenti opporsi ad impegni vincolanti; con la differenza, però, che la produzione annua di CO2 di un cittadino americano è di 20 tonnellate mentre quella di un indiano, ad esempio, è di 1,6. Unito a questo, la dichiarazione ufficiale del ministro dell'ambiente Peter Kent sul ritiro del Canada dal protocollo di Kyoto, già annunciato nei giorni scorsi, ha destato critiche: Greenpeace ha sottolineato come con questa decisione il governo «ha imposto una condanna a morte a molte delle popolazioni più vulnerabili del mondo».
Insomma, nonostante l'aumento di catastrofi e siccità, nonostante le maree nere che infestano coste di ogni continente, nonostante il disastro di Fukushima che ha smosso, forse troppo poco, le coscienze mondiali, l'emergenza ambientale sta passando sempre più in secondo piano. Mentre gli scienziati continuano a rilevare come il clima sta cambiando sul pianeta e come siano tantissime le specie animali e le popolazioni umane che ne stanno soffrendo, in questo momento sono tutti intenti ad inseguire notizie di economia che rassicurino o turbino ulteriormente gli animi. Ma il nostro pianeta non ha smesso neanche per un attimo di patire e non è detto che possa resistere molto a lungo.