Due bambini recuperano la vista grazie a terapia genica rivoluzionaria: come funziona
Grazie a una terapia genica rivoluzionaria, sperimentata per la prima volta in Italia, due bambini ipovedenti di 8 e 9 anni affetti da una rara forma di distrofia retinica ereditaria hanno riacquistato la vista. Queste malattie determinano una progressiva degenerazione dei coni e dei bastoncelli sino a rendere i pazienti quasi ciechi in tenera età; la cecità completa sopraggiunge per quasi tutti. Il trattamento, considerato una vera e propria pietra miliare per la Medicina, è stato eseguito presso la Clinica Oculistica dell'Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli da un team di ricerca guidato dalla professoressa Francesca Simonelli, direttrice della struttura di Caserta.
Come funziona la terapia genica
L'eccezionale risultato è stato conseguito grazie alla terapia genica chiamata Voretigene neparvovec – nome commerciale Luxturna – messa a punto dal colosso farmaceutico svizzero Novartis. Essa si basa su una singola iniezione subretinale, come spiegato sul portale dell'Osservatorio delle Malattie Rare, ed è specifica per la distrofia retinica ereditaria legata a una mutazione del gene RPE65. La malattia è conosciuta “Amaurosi congenita di Leber” – dal nome dell'oftalmologo tedesco Theodor Leber che la descrisse per primo nel XIX secolo – o malattia retinica ereditaria biallelica mediata da RPE65. Attraverso l'iniezione, in parole semplici, viene somministrato un virus adeno-associato (AAV) che contiene DNA complementare di RPE65 modificato, che ha l'obiettivo di sostituire il gene difettoso responsabile della rara patologia.
Miglioramento visivo straordinario
Come sottolineato dalla professoressa Simonelli durante una conferenza stampa, i risultati del trattamento sono davvero significativi. “Sono evidenti dopo pochi giorni dall'intervento e consistono in uno straordinario miglioramento visivo evidente soprattutto nelle condizioni di scarsa luminosità. Dopo la terapia, il bambino ha già recuperato una piena autonomia nel muoversi, scendere le scale, camminare da solo, correre e giocare a pallone”, ha sottolineato la specialista. “Siamo di fronte a un vero e proprio cambio di paradigma e siamo orgogliosi di esserne tra i protagonisti. Fino ad oggi non avevamo terapie per il trattamento delle distrofie retiniche ereditarie, ma grazie ai passi avanti ottenuti negli ultimi anni, e che stiamo continuando a ottenere in campo clinico, genetico e tecnologico, possiamo solo augurarci che il risultato di oggi sia solo il primo di una lunga e futura serie”, ha aggiunto la scienziata.
Risultati duraturi
Ciò che rende particolarmente efficace la terapia genica sviluppata da Novartis risiede negli effetti duraturi, legati a una singola iniezione per occhio. “I risultati della terapia si sono dimostrati stabili nel tempo. Dopo un’unica iniezione i dati clinici mostrano che dopo 7 anni e mezzo il risultato ottenuto rimane assolutamente stabile. Vengono trattati separatamente entrambi gli occhi e i risultati sono ottimi”, ha affermato la professoressa Simonelli. A sottolineare l'efficacia della terapia anche Assia Andrao, presidente nazionale di Retina Italia Onlus: “Questa terapia innovativa è un punto miliare dal quale partire. Finalmente vediamo la luce in fondo al tunnel. La distrofia retinica ereditaria è degenerativa e progressiva, non ti consente di progettare la tua vita, non sai dove la malattia ti può portare”, ha specificato la Andrao.
I “limiti” della terapia genica
Benché il trattamento Luxturna sia estremamente efficace, esso non è applicabile a tutti i pazienti con distrofia retinica ereditaria. Come specificato sul portale dell'Osservatorio delle malattie rare, infatti, essa è indicata per i pazienti che abbiano raggiunto almeno un anno di età “e che abbiano ancora un sufficiente numero di cellule retiniche vitali”. Ciò significa che la diagnosi non deve arrivare troppo tardi, inoltre bisogna essere certi – attraverso apposite indagini genetiche – che la patologia riscontrata sia quella legata alla mutazione biallelica del gene RPE65. “In Italia ci sono circa 250 persone affette da questa patologia, tra adulti e bambini. Ci sono dei criteri di inclusione per questa terapia che vanno valutati, dobbiamo stare attenti a spiegarli bene e non dare false speranze”, ha concluso Assia Ardao.