Droge psichedeliche testate su mini cervelli: come possono curare la depressione
Droghe psichedeliche testate su mini-cervelli umani hanno dimostrato potenziali effetti terapeutici contro depressione, patologie neurodegenerative e neuroinfiammatorie, inoltre hanno messo in luce un aumento nella plasticità dei circuiti neurali legati all'apprendimento e alla memoria. In altri termini, “c'è del potenziale terapeutico nelle sostanze psichedeliche”, come ha sottolineato il professor Stevens Rehen, responsabile dello studio in forze al D'Or Institute for Research and Education (IDOR) e docente presso l'Università Federale di Rio De Janeiro.
I mini-cervelli umani alla base della ricerca brasiliana rappresentano una vera e propria svolta nel campo delle neuroscienze, e da quando sono stati messi a punto stanno aiutando i ricercatori a comprendere le patologie cerebrali grazie a esperimenti impraticabili con veri cervelli. Si tratta infatti di colture di neuroni in tre dimensioni – chiamate organoidi cerebrali – che assomigliano a un cervello umano in fase di sviluppo. Erano la scelta più saggia per indagare sugli effetti delle sostanze psichedeliche, dato che ricerche precedenti ne avevano fatto emergere alcuni vantaggi senza tuttavia scoprirne il come e il perché. Ora i ricercatori hanno una risposta, perlomeno parziale.
Rehen e colleghi hanno somministrato ai mini-cervelli un'unica dose della triptamina 5-MeO-DMT, sostanza psichedelica e allucinogena prodotta da alcune ghiandole velenifere presenti sul dorso del rospo Incilius alvarius, abbondante nel deserto di Sonora tra Messico e Stati Uniti. Spesso questi animali vengono catturati per essere letteralmente leccati da chi è dipendente dalla sostanza secreta. Dopo il trattamento è stato eseguito un esame spettroscopico sui mini-cervelli, che ha fatto emergere un'alterazione nella produzione di un migliaio di proteine. Da una parte sono aumentate quelle relative alla formazione delle sinapsi, le connessioni fra neuroni fondamentamentali in tutti i processi cerebrali (come quelli mnemonici); dall'altra è stata osservata una diminuzione delle proteine associate alla degenerazione e all'infiammazione.
“I risultati suggeriscono che gli psichedelici classici sono potenti induttori della neuroplasticità, uno strumento di trasformazione psicobiologica che conosciamo molto poco”, ha commentato il coautore dello studio Sidarta Ribeiro. Gli ha fatto eco il professor Rehen, sottolineando che vi è un “potenziale clinico nascosto in sostanze soggette a restrizioni legali, che meritano attenzione nelle comunità mediche e scientifiche”. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista Scientific Reports, del circuito Nature.
[Immagine di sbtlneet]