Dormendo si impara
Un riposino per fissare meglio quanto si è appena imparato dai libri: un'ipotesi che potrebbe far tremare le madri più premurose e preoccupate per lo studio dei propri figli ma che, già da anni, è al centro di teorie e discussioni tra gli esperti. Addirittura, il riposo non sarebbe utile solo a livello generale, perché è chiaro che un cervello riposato e rilassato è maggiormente predisposto ad applicarsi nelle attività più onerose, ma si rivelerebbe quasi indispensabile per riuscire ad assumere una quantità più elevata di nozioni con uno sforzo minore: questa l'ipotesi di alcuni ricercatori statunitensi che sembrerebbe poter minare le basi delle abitudini di vita di buona parte degli studenti universitari, avvezzi a trascorrere infinite ore, anche notturne, a girare pagine sottolineate.
L'esperimento – Uno studio, pubblicato dalla rivista PLoS ONE e guidato dalla psicologa Jessica Payne della Harvard Medical School, ha osservato 207 studenti in buona salute, che non presentavano disturbi del sonno e che avevano dormito almeno sei ore nel corso della notte precedente, a cui è stato impedito di consumare sostanze contenenti caffeina o alcol nelle 24 ore precedenti l'esperimento e durante l'esecuzione di questo. I ragazzi sono stati assegnati a tre gruppi in maniera casuale per studiare coppie di parole semanticamente correlate o indipendenti, tornando ad effettuare dei test 30 minuti, 12 ore e 24 ore dopo, in tre orari diversi, variabili tra le nove del mattino e le nove di sera. I ricercatori hanno avuto così modo di constatare che, complessivamente, coloro i quali non avevano potuto beneficiare del sonno tra una sessione e l'altra risultavano avere dei ricordi meno chiari: a peggiorare, in particolar modo, erano le informazioni concernenti le coppie di parole indipendenti, mentre per le correlate non è stata riscontrata alcuna differenza tra chi si era potuto concedere un sonnellino e quanti avevano vegliato. Quando il test è stato ripetuto, poi, nelle 24 ore successive alla prima seduta, in generale tra i volontari hanno mostrato di aver ricordi migliori coloro i quali avevano potuto dormire poco dopo la fase di apprendimento. L'esperimento ha analizzato gli effetti del sonno sulla memoria dichiarativa nella sua totalità, valutando le conseguenze sulle sue due componenti, quella episodica, che riguarda informazioni specifiche relative ad un determinato contesto, e quella semantica, relativa a concetti più astratti.
Studi sulla relazione tra sonno e ricordi – Il ruolo di un certo tipo di ozio nell'ambito dell'apprendimento è stato più volte posto in evidenza da numerosi studi che si sono concentrati sull'importanza del riposo per il cervello, affinché questo possa trattenere meglio nella propria mente i concetti. Il primo in assoluto ad individuare importanti elementi nel meccanismo di fissazione delle informazioni fu lo psicologo e filosofo tedesco Hermann Ebbinghaus che, verso la fine dell'800, condusse numerose ricerche sperimentali, verificando come la memoria per alcune sillabe prive di senso andasse incontro ad una rapida ed immediata deteriorazione; quest'oblio, però, diventava più debole trascorso un certo numero di ore, lasciando tracce forti nella mente sulla lunga durata. Furono però Jenkins e Dallenbach, nel 1924, i primi a sottolineare come trattenere i ricordi risultasse più facile se alla fase dell'apprendimento faceva seguito un momento di riposo, anziché di veglia, inaugurando così una lunghissima tradizione di studi, ricerche ed esperimenti sull'argomento che continuano fino ad oggi; tra detrattori e sostenitori, lo «sleep effect» fa spesso parlare di sé.