Doha, “l’occasione d’oro” della Terra?
Se la XVIII Conferenza Mondiale delle parti della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (Unfccc-United Nations Framework Convention on Climate Change) si tiene in uno tra i principali Paesi produttori di combustibili fossili, bisogna interpretare il dato come un segnale di positivo cambiamento o, piuttosto, inserirsi nella scia di polemiche dei tanti che hanno contestato la scelta del luogo? Sicuramente al momento è troppo presto per poter giudicare: i negoziati sono appena iniziati e, prima che le conclusioni riportino la mente alla delusione di Durban dell'anno scorso, c'è ancora qualche speranza da coltivare.
Nel segno di Sandy – Certo è che, mentre nella Conferenza tenutasi in Sudafrica a fine 2011 l'elemento della crisi finanziaria fu inevitabilmente l'argomento centrale nonché fonte delle principali discordie tra chi riteneva in ogni caso prioritari gli obiettivi per l'ambiente (come l'Europa) e chi preferiva procrastinare l'urgenza in ragione di un improbabile sviluppo economico non sacrificabile all'altare del controllo delle emissioni dei gas serra (come nel caso di Stati Uniti e del Canada, quest'ultimo uscito a sorpresa dal Protocollo di Kyoto proprio alla conclusione del summit di Durban), oggi a Doha i negoziati si aprono nel segno di Sandy, una ferita ancora aperta nell'America, additata da molti scienziati e dagli attivisti come indiscutibile sintomo di un Pianeta in sofferenza, in cui i fenomeni meteorologici diventano sempre più estremi e violenti.
Sforzi più ambiziosi – Questo potrebbe forse spingere i 17 000 delegati di organizzazioni internazionali e di circa 190 Paesi a trovare un accordo universale (o almeno quasi) in direzione di quell'obiettivo fondamentale che si trascina stancamente da vent'anni senza approdare a risultati soddisfacenti, ovvero la riduzione dei gas serra? C'è da dire che, a fine dicembre, si concluderà la prima fase del protocollo di Kyoto e che la garanzia del proprio impegno in quello che sarà "Kyoto 2" giunge al momento principalmente da UE, Australia, Svizzera, Norvegia. Tale proroga è stata voluta soprattutto dalle grandi economie emergenti dei Paesi BASIC (Brasile, Sudafrica, India e Cina) che, già a diversi mesi dall'apertura dei lavori di Doha, in un summit tenutosi a Brasilia, hanno chiesto sforzi più ambiziosi ai Paesi ricchi per quanto riguarda il taglio delle emissioni di CO2: è la posizione portata avanti principalmente dalla Cina (prima al mondo per la produzione di gas serra) che sottolinea da anni come siano i Paesi occidentali a doversi far maggior carico del problema ambientale per ragioni sia storiche sia attuali.
«Cina: responsabilità comuni ma differenziate.» – Da una parte, infatti, il riscaldamento globale affonda le proprie radici nei decenni di crescita economica esponenziale di Europa ed America: ciò implica, d'altro canto, che i BASIC non siano disposti a partecipare ai negoziati mettendo sul medesimo piano le distinte realtà e responsabilità dei Paesi ricchi e dei Paesi poveri. Ma se l'Europa preme affinché Kyoto 2 sia almeno un passaggio della durata di otto anni anziché cinque (questo consentirebbe di arrivare alla data del 2020, quando dovrebbe entrare in vigore il nuovo trattato da negoziare entro il 2015) il fronte compatto di Canada, Stati Uniti (secondo Paese al mondo per emissioni), Russia e Giappone sembra, ancora una volta, non mostrare segnali di voler scendere a compromessi di alcun tipo.
L'Europa si è impegnata in una seconda fase del Protocollo e a Doha questo verrà confermato. Questo è il primo obiettivo del summit. Il secondo è quello di consolidare il programma di lavoro per far sì che nel 2015 venga finalmente approvato un accordo globale per la protezione del clima che veda la partecipazione attiva di tutti i Paesi del pianeta. (Corrado Clini)
La speranza, allora, è in Medio Oriente? – A pesare sul piatto della bilancia ci saranno anche i Paesi del Medio Oriente dove, per la prima volta, si tiene il vertice ONU sui cambiamenti climatici: «Il fatto che la conferenza si svolga in Qatar testimonia che le cose si muovono e vanno nella direzione giusta» sostiene Artur Runge-Metzger, capo negoziatore per l'UE. E stando alle ottimistiche dichiarazioni che hanno aperto il summit potrebbe essere realmente così: l'ex ministro per l'Energia del Qatar Abdullah bin Hamad Al-Attiyah, che il meeting ha eletto come Presidente della Conferenza delle Parti, ha infatti annunciato che Doha sarà «l'opportunità d'oro» per il grande passo verso un nuovo accordo globale sul clima. In attesa del 4 dicembre, dunque, data per la quale è attesa la sessione ministeriale conclusiva dell'incontro, il gioco resta nelle mani delle delegazioni che, ancora una volta, dovranno tentare la difficile mediazione tra interessi nazionali e benessere globale: un esercizio che viene preparato da un ventennio pur non avendo ancora dato risultati soddisfacenti dal momento che il 2011 è stato un anno record per quanto riguarda le emissioni di CO2 nell'atmosfera. E l'obiettivo di mantenere il riscaldamento del Pianeta entro il limite massimo di due gradi centigradi, entro il quale pur a grandi costi l'emergenza sarebbe ancora gestibile dagli strumenti che l'uomo ha a disposizione, sembra sempre più un pericoloso miraggio.