Delfini e coralli, le vittime della Deepwater Horizon a due anni dal disastro
Tra qualche giorno, il 20 aprile per la precisione, ricorrerà il secondo anniversario dall'esplosione verificatasi a bordo della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon che costò la vita a 11 lavoratori, letteralmente inceneriti dal violentissimo incendio che si scatenò, e che causò lo sversamento nelle acque del Golfo del Messico di una quantità di idrocarburi che, recentemente, è stata quantificata essere stata di 59 000 barili al giorno (pari ad 11 ooo tonnellate), per tutto il periodo di tre mesi nel corso dei quali innumerevoli tentativi vennero eseguiti per cercare di fermare la fuoriuscita. Le prime crudeli immagini restituite dalla Marea Nera, il peggior disastro ambientale che gli Stati Uniti abbiano mai conosciuto e, probabilmente, il più drammatico e grave della storia, furono quelle dei poveri pellicani con le piume ricoperte di combustibile, salvati e ripuliti da esperti e semplici volontari, tutti ugualmente coinvolti per cercare, per quel poco che era possibile, di limitare i tremendi effetti di una vera e propria catastrofe.
Paradisi di biodiversità danneggiati per sempre? – Ma le conseguenze immediate che furono sotto gli occhi allibiti di tutti, non erano che l'inizio di una situazione che, a tutt'oggi, desta preoccupazione e allarme non solo nel mondo degli ambientalisti, ma anche nella scienza: perché tutto il patrimonio di biodiversità ospitato al largo delle coste del Golfo del Messico in luoghi paradisiaci ha dovuto subire danni profondissimi che non si risolveranno alla stessa velocità con cui le notizie viaggiano, finendo molto spesso dimenticate ancor prima che la loro reale potenza si sia esaurita. E così, mentre la Marea Nera diventa sempre più un ricordo lontano per molti, alcune aree come le isole Chandeleur continuano a vivere in una situazione profondamente difficile: quelli che furono un tempo luoghi incontaminati, un arcipelago disabitato indispensabile rifugio per i flussi migratori degli uccelli oggi sono in pericolo. Insomma, sarà nella lunga durata che la marea nera mostrerà tutta la sua portata devastante sull'ambiente.
Il caso dei delfini della Louisiana – Prevedibilmente, già da tempo i biologi stanno monitorando e analizzando tutta l'area, per valutare la reale entità delle ripercussioni sull'ecosistema: un recente studio ha preso in esame il caso dei delfini al fine di valutarne le condizioni di salute e i possibili interventi da realizzare su uno dei mammiferi più amati dall'uomo. E così, in un lavoro commissionato dalla National Oceanic and Athmosferic Administration, gli esperti hanno avuto modo di verificare come l'impatto sulla fauna marina del disastro del 2010 si stia dimostrando assai più forte di quanto precedentemente temuto. Le analisi effettuate su 32 delfini della Barataria Bay, area lungo le rive della Louisiana nei pressi del luogo in cui si verificò l'incidente della piattaforma petrolifera, hanno rilevato come la maggior parte di essi risulti essere sottopeso, anemica e affetti da disturbi al fegato e ai polmoni; inoltre la metà degli animali presenta livelli bassi di un ormone che aiuta questi odontoceti nella gestione dello stress e che influisce sulla regolazione del metabolismo e del sistema immunitario. Prima che la ricerca si concludesse, uno dei delfini è anche morto ma, secondo quanto dichiarato da Lori Schwacke che ha guidato il gruppo di studio, le speranze di sopravvivenza per gli altri sono effettivamente molto remote. Purtroppo, il quadro drammatico non riguarda soltanto i delfini ma è relativo all'intera popolazione del Golfo del Messico, partendo dagli organismi piccolissimi quali lo zooplancton, passando per gli insetti delle zone paludose, arrivando fino ai coralli.
Un cimitero di coralli – Undici siti ispezionati, di cui sette già esaminati nel settembre del 2009 quando le alterazioni dovute alla fuoriuscita di petrolio non si erano ancora verificate, tutti localizzati ad una distanza minore di 20 chilometri dal pozzo Macondo in cui avvenne l'esplosione. Aree che un tempo ospitavano ricche e floride colonie di coralli, orgoglio e vanto dei fondali del golfo del Messico: osservate e sottoposte ad accurate analisi chimiche sulla base di campioni prelevati nel corso dei mesi, hanno consentito di valutare l'impatto anche a grosse profondità, consegnando un drammatico referto sulle condizioni di salute dei mari. Nel 46% dei casi presi in esame, più della metà di ciascuna colonia mostrava i segni di gravissimi danneggiamenti patiti, mentre un quarto del totale dei coralli presentava i sintomi di un impatto superiori al 90% su tutta l'estensione. Segnali di stress, inclusa la perdita di tessuti a vari livelli unito all'attacco da parte di un particolare tipo di stella marina, illustrano chiaramente la situazione venutasi a creare in seguito all'incidente della British Petroleum: e a due anni dal disastro, come precisano gli esperti, è ancora troppo presto per conoscere quale sarà l'esito finale della pesantissima esposizione.