Crollo degli spermatozoi nell’uomo e negli animali in mezzo secolo: rischiamo infertilità dal 2060
Lo studio “Temporal trends in sperm count: a systematic review and meta-regression analysis” pubblicato a luglio del 2017 sulla rivista Human Reproduction Update ha dimostrato che in appena mezzo secolo, dal 1973 e al 2011, la conta degli spermatozoi negli uomini è drammaticamente calata di circa il 60 percento. Nella meta-analisi sono state coinvolte 200 ricerche per un totale di oltre 40mila uomini “campionati”. Come sottolineato dalla professoressa Shanna H. Swan, specialista di Epidemiologia della Riproduzione presso la prestigiosa Scuola di Medicina “Icahn” di Mount Sinai a New York e coautrice dello studio, questo crollo è attribuibile alle sostanze chimiche che ci circondano – in particolar modo gli ftalati – e che influenzano il nostro sistema endocrino, con un impatto significativo sulla capacità riproduttiva. Se questa riduzione continuerà anche nei prossimi decenni, rischiamo di andare incontro a una concentrazione di spermatozoi talmente bassa da inficiare persino la fertilità. In altri termini, questa situazione sta minacciando la sopravvivenza stessa della specie umana.
A sottolinearlo in un articolo pubblicato su The Converstaion i due scienziati Alex Ford e Gary Hutchison, il primo docente di Biologia dell'Università di Portsmouth, mentre il secondo insegna Tossicologia presso l'Università Napier di Edimburgo, dove presiede il dipartimento di Scienze Applicate. I due ricercatori hanno tracciato una X sul “calendario”, ritenendo che se il trend del calo fosse confermato (1-2 percento ogni anno), nel 2060 l'uomo potrebbe non produrre più una quantità di spermatozoi sufficiente per riprodursi. Non a caso la professoressa Swan ha chiamato “countdown” il proprio libro dedicato al tema, riferendosi proprio al momento in cui la minaccia alla sopravvivenza della nostra specie diventerà concreta. Secondo la Swan, già dal 2045 la maggior parte delle coppie avrà bisogno della fecondazione assistita per concepire, dato che con i naturali rapporti sessuali diventerà sempre più complicato.
Come spiegato dagli autori dell'articolo, non è soltanto la diffusione dei composti chimici a influenzare la capacità riproduttiva, ma anche il radicale cambio nello stile di vita che si è verificato nel corso degli ultimi 50 anni. L'abuso di alcol, la sedentarietà e la dieta disequilibrata sono comportamenti sempre più diffusi; sono tutti fattori che possono influenzare la capacità di procreare. Ma gli interferenti o perturbatori endocrini (endocrine-disrupting chemicals – EDCs) come gli ftalati sono ormai praticamente ovunque, “negli alimenti, nelle bevande, nei prodotti per la cura personale e nell'aria che respiriamo” sottolineano Ford e Hutchison. Si tratta di un'esposizione continua che può alterare anche lo sviluppo fetale. Un embrione nel grembo materno viene “bombardato” da composti chimici tossici che mezzo secolo fa non erano così diffusi, alimentando anche il rischio di aborto.
L'impatto di queste sostanze interessa anche gli altri animali, come mostra lo studio sui cani “Environmental chemicals in dog testes reflect their geographical source and may be associated with altered pathology” pubblicato su Scientific Reports. Gli scienziati guidati dal professor Richard G. Lea hanno dimostrato che il miglior amico dell'uomo soffre dello stesso calo di spermatozoi osservato nell'uomo; non c'è da stupirsi, considerando che condividiamo gli stessi ambienti. Studi sui visoni allevati hanno rilevato una sempre maggiore diffusione di malformazioni genitali, la cui diffusione è più marcata anche tra gli animali esposti alle acque reflue (come alligatori e alcune specie di crostacei e pesci), contaminate dai nostri composti chimici tossici. Le istituzioni come l'Unione Europea si stanno muovendo per regolamentare in modo ancora più severo la presenza di queste sostanze negli oggetti di uso quotidiano, in particolar modo evitando la sostituzione di quelle dannose con composti altrettanto nocivi (come già accaduto in passato), ma se non si interverrà in maniera più incisiva – come si sta provando a fare con la plastica e le emissioni di carbonio – la nostra specie sarà seriamente in pericolo nel giro di pochi decenni.