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Crisi di mezza età, un problema anche per le grandi scimmie

Esattamente come accade per gli uomini, scimpanzé ed oranghi attraverserebbero un periodo di profonda infelicità nella fase centrale della propria esistenza: la scoperta potrebbe spiegare, dunque, un fenomeno che accomuna l’intero genere umano?
A cura di Nadia Vitali
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Umani, scimpanzé ed oranghi sono accomunati da buona parte del proprio patrimonio genetico, condividendo così tantissimi aspetti fisiologici e comportamentali: l’impulso ad essere generosi, le capacità cognitive ed ora, si scopre, anche la crisi di mezza età. Sì, perché, secondo una recente ricerca, pare che anche le grandi scimmie sperimentino, più o meno nel periodo centrale della propria esistenza, una lunga fase di scontentezza ed infelicità, di fatto non riconducibile a condizioni di insoddisfazione oggettiva, frustrazione o mancanze di qualunque tipo.

Secondo i modelli elaborati da esperti e studiosi del comportamento umano, la curva del benessere individuale nell'arco della vita intera segue un andamento dalla forma ad U. Indipendentemente dalla propria collocazione geografica, dalle condizioni socio-economiche, dal genere, la felicità dell’essere umano tocca i suoi picchi più alti durante la giovinezza per poi iniziare a declinare raggiungendo il punto più basso durante la cosiddetta “mezza età”: che, pur variando da Paese a Paese, è generalmente collocata tra i 45 ed i 55 anni. Superata questa fase critica, la curva ricomincia la sua salita restituendo benessere e serenità con l’avanzare dell’anzianità. Le ragioni che determinano tale andamento non sono del tutto chiare: esclusi i fattori puramente fisiologici (come il collegamento con la menopausa) e i ruoli sessuali (poiché il fenomeno riguarda in misura più o meno analoga gli uomini e le donne), per lo più la spiegazione viene ricondotta a componenti sociali ed economiche. Le maggiori risorse di cui si dispone, il mutamento di ambizioni, aspirazioni e rimpianti, sono i principali elementi considerati alla base dello sconforto che caratterizza la mezza età: ma, secondo molti studiosi, non si tratterebbe solo di questo.

Ciò ha spinto un gruppo di ricercatori ad indagare su tale comportamento, analizzandone l’eventuale diffusione, e quindi le caratteristiche, presso i nostri parenti più prossimi, le grandi scimmie antropomorfe: psicologi provenienti da diversi atenei, sotto la guida di Alexander Weiss dell’Università di Edimburgo, si sono chiesti quale potesse essere il fondamento biologico della crisi di mezza età, pubblicando i risultati del proprio lavoro sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences. Gli esperti hanno preso in esame i dati relativi a 508 primati, 336 scimpanzé e 172 oranghi, ospitati in diversi giardini zoologici, riserve e centri di ricerca: è stato chiesto ai vari operatori, addetti, volontari ed incaricati che seguivano gli animali da un tempo non inferiore ai due anni di valutare il benessere degli esemplari sulla base di un questionario fornito loro. Le domande riguardavano le condizioni di salute degli esemplari, il loro umore generale, che rapporti dimostravano di avere con i propri simili, come si comportassero di fronte ai propri obiettivi (come ottenere un oggetto o uno spazio), se riuscivano a perseguirli e con quanto entusiasmo.

Le risposte dimostrerebbero inequivocabilmente come presso i primati gli anni centrali della vita sarebbero caratterizzati da una fase di profonda infelicità e scontentezza: dunque l'andamento ad U riguarderebbe anche la curva del benessere delle grandi scimmie, facendo della "crisi di mezza età" un fenomeno che, sebbene risulti condizionato da fattori socioeconomici, affonderebbe le sue radici nella biologia e nell'evoluzione della specie. Gli esperti avanzano l'ipotesi che la sensazione di malcontento sarebbe una sorta di strategia messa in campo dal nostro cervello per reagire alla condizione in cui ci si viene a trovare quando, ancora in forze e giovani nel corpo, si è meno sottoposti a pericoli e si dispone di maggiori risorse, rispetto alla gioventù: per sollecitare ancora a dare il meglio di sé, la mente ricorrerebbe a tale stratagemma. Probabilmente, nuovi studi saranno necessari per indagare al meglio le ragioni fisiologiche di tale fenomeno che ci lega incredibilmente ai nostri "cugini": per il momento, non resta che constatare quanto saldi ed indissolubili siano i legami con i parenti più vicini della nostra specie, le grandi scimmie antropomorfe.

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