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Covid 19

Le vacanze all’estero dell’estate 2020 hanno fatto diffondere una variante Covid in Europa

Lo rivela uno studio pubblicato sulla rivista Nature da un team di internazionale di ricerca che ha dimostrato come la ripresa dei viaggi in Europa abbia contribuito alla diffusione di una variante inizialmente emersa in Spagna e successivamente circolata negli altri Paesi europei, dove ha sostenuto l’ondata epidemica dello scorso autunno.
A cura di Valeria Aiello
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Una variante del coronavirus, chiamata 20E (EU1) ed inizialmente emersa in Spagna all’inizio dell’estate del 2020, si è diffusa in tutta Europa non perché più contagiosa di altre. Diversamente dal ceppo inglese e da quello indiano, divenuti dominanti perché più trasmissibili, a spiegare i motivi alla base della diffusione della variante “spagnola” è un team di ricerca internazionale in uno studio pubblicato sulla rivista Nature che ha rilevato come “la ripresa dei viaggi e la mancanza di screening e contenimento efficace” abbiano determinato la sua circolazione negli altri Paesi europei, dove “è stata introdotta centinaia di volte dai viaggiatori estivi, probabilmente minando gli sforzi locali per contenere il numero di casi di Covid-19”.

Variante "spagnola" e viaggi dell'estate 2020

Pubblicata a ridosso delle nuove riaperture e della ripresa degli spostamenti in tutta Europa, l’indagine dimostra come i viaggi possano contribuire all’aumento della circolazione delle varianti e, rilevano gli autori dello studio, sottolinea come un determinato ceppo possa diventare rapidamente dominante in contesti epidemiologi favorevoli “anche in assenza di un sostanziale vantaggio di trasmissione”.

Le mutazioni presenti nella variante spagnola e, in particolare quelle legate alla proteina Spike che il coronavirus utilizza per legare e infettare le cellule umane, non hanno infatti indicato una maggiore trasmissibilità rispetto al ceppo originario. Tuttavia, a sostenere l’ondata epidemica che ha colpito l’Europa durante l’autunno dello scorso anno è stata proprio questa versione mutata, come emerso dai dati disponibili sul database GISAID che hanno permesso di ricostruire la storia del ceppo.

Nel dettaglio, questi dati mostrano che, mentre nei mesi di luglio e agosto la variante 20E era rilevata principalmente nei campioni sequenziati in Spagna, a fine agosto è stata segnalata in dieci Paesi europei, compresa l’Italia, oltre che in Belgio, Svizzera, Francia, Danimarca, Regno Unito, Germania, Lituania, Svezia e Norvegia. “Lo scorso settembre – ha spiegato l’epidemiologa Emma Hodcroft dell’Università di Berna e autrice principale dello studio – abbiamo osservato che un cluster era presente non solo in tutta la Svizzera, ma anche nel Regno Unito e in Spagna. Questo cluster, che alla fine è stato denominato come 20E (EU1), aveva una mutazione nella posizione 222 della proteina Spike che ha attirato la mia attenzione”.

Da metà dell’estate 2020, questa variante si è diffusa in tutta Europa, diventando la più trasmessa nella maggior parte dell’Europa occidentale e rappresentando oltre il 30% delle sequenze analizzate entro la fine del 2020”. I dati, nello specifico, hanno indicato che “in Spagna, Irlanda e Regno Unito la variante rappresentava più del 60% delle sequenze – ha aggiunto Hodcroft – . Alla fine del 2020, in Norvegia e Francia era invece minore o uguale al 20%, con altri Paesi nel mezzo”.

Osservazioni che, nel complesso, hanno indicato l’introduzione progressiva dalla Spagna agli altri Paesi europei sulle stesse rotte dei viaggi internazionali. Pertanto, in considerazione di questa ricostruzione, gli autori hanno evidenziato il ruolo degli spostamenti nella ripresa dell’epidemia in Europa, sottolineando come “le strategie di sorveglianza genomica siano fondamentali per comprendere come i viaggi possano influire sulla trasmissione di Sars-Cov-2 e quindi fornire dati utili allo sviluppo di future strategie di contenimento”..

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