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Cos’è la sindrome di Guillain-Barré su cui l’Ema indaga in relazione al vaccino Covid di Astrazeneca

Il disturbo è stato segnalato come possibile evento avverso in seguito alla vaccinazione. Si tratta di una violenta reazione autoimmune che causa infiammazione dei nervi periferici, i cui sintomi sono debolezza muscolare accompagnata da una diminuzione della sensibilità e dell’agilità delle gambe che può progredire poi alle braccia.
A cura di Valeria Aiello
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L’Agenzia europea dei medicinali (EMA) ha comunicato che il Comitato di farmacovigilanza per la valutazione dei rischi (PRAC) sta esaminando alcuni casi di sindrome di Guillain-Barré in seguito alla somministrazione di Vaxzevria, il vaccino anti-Covid prodotto da Astrazeneca. Il farmaco, raccomandato in Italia per gli over 60 e già sotto i riflettori per i casi di trombosi segnalati dopo la prima dose, è attualmente monitorato nell’ambito della revisione delle regolari relazioni sulla sicurezza, la cui valutazione garantisce la conoscenza completa dei benefici e dei rischi del medicinale. La sindrome, riferisce l’EMA nell’ultimo report in cui fa il punto sulla recente riunione del PRAC, è stata identificata “durante il processo di autorizzazione all’immissione in commercio come un possibile evento avverso” del vaccino anglo-svedese. “Il PRAC – sottolinea l’Agenzia – ha chiesto al titolare dell’autorizzazione all’immissione in commercio (l’azienda Astrazeneca, ndr) di fornire ulteriori dati dettagliati, inclusa un’analisi di tutti casi segnalati nel contesto del prossimo rapporto di sicurezza”.

Cos'è la sindrome di Guillain-Barré

I dati analizzati finora, forniti dalla stessa Astrazeneca, riguardano alcuni casi di sindrome di Guillain-Barré, un disturbo a carico dei nervi periferici, i cui sintomi sono debolezza muscolare accompagnata da una diminuzione della sensibilità e dell’agilità delle gambe che può progredire poi alle braccia. Per quanto le cause non siano ancora state completamente chiarite, si ritiene che questa forma di neuropatia sia dovuta a una violenta reazione autoimmune che determina un’infiammazione del sistema nervoso periferico e disfunzioni delle unità motorie. “Più della metà dei soggetti colpiti da questa patologia – spiega il Centro di Ricerca Humanitas sul suo sito ufficiale – presenta debolezza muscolare a livello facciale e orofaringeo e circa il 5-10% deve essere intubato a causa dell’insufficienza respiratoria. In questi pazienti sono inoltre spesso presenti fluttuazioni della pressione arteriosa, aritmie cardiache, modificazioni pupillari”.

Si tratta di una patologia piuttosto rara  – si stima colpisca mediamente 1,2-1,9 persone su 100mila ogni anno – , ma che rappresenta la prima causa di paralisi acuta non traumatica nella popolazione. La sindrome è a esordio rapido (in circa due terzi dei pazienti, i sintomi si manifestano nell’arco di 5-21 giorni) e può insorgere dopo una lieve infezione batterica o virale, un intervento chirurgico o una vaccinazione, sebbene l’associazione di un gruppo di casi segnalati in seguito a un programma di immunizzazione contro l’influenza suina nel 1976 fu poi dimostrato essere infondata. “La debolezza causata dalla sindrome di Guillain-Barré in genere peggiora nell’arco di 3 o 4 settimane, per poi rimanere stabile o iniziare a tornare alla normalità – indicano i Manuali MSD – . Se la malattia si aggrava per più di 8 settimane, è considerata una polineuropatia demielinizzante infiammatoria cronica e non una sindrome di Guillain-Barré”.

La sindrome di Guillain-Barré è considerata un’emergenza medica che richiede monitoraggio e supporto costanti delle funzioni vitali. Il trattamento prevede generalmente la somministrazione precoce di immunoglobuline (anticorpi derivati dal plasma di donatori per via endovenosa) e plasmaferesi (filtraggio delle sostanze tossiche dal sangue), con decorso rapido, nell’arco di giorni o settimane. Senza trattamento, la maggior parte delle persone recupera lentamente nel corso di diversi mesi ma circa il 30% degli adulti e una percentuale ancora più alta di bambini presentano un certo grado di debolezza residua dopo 3 anni. In questi casi può risultare necessaria la rieducazione motoria, l’applicazione di apparecchi ortopedici o il ricorso a interventi di chirurgia correttiva. In media, la sindrome risulta fatale in meno del 2% dei casi.

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