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Cos’è il linfoma di Hodgkin, la malattia sconfitta dalla figlia di Jovanotti

La forma di tumore contro cui la 22enne Terry Cherubini ha lottato in questi mesi interessa principalmente i tessuti linfoidi secondari, come i linfonodi. Si tratta di una neoplasia maligna abbastanza rara anche se nei giovani rappresenta una delle più frequenti manifestazioni tumorali.
A cura di Valeria Aiello
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Immagine istopatologica del linfoma di Hodgkin
Immagine istopatologica del linfoma di Hodgkin

Ha mantenuto un segreto per tutti questi mesi, ma ora che è ufficialmente guarita, Terry Cherubini, la 22enne figlia di Jovanotti ha deciso di raccontare la sua lotta contro il linfoma di Hodgkin, una forma di tumore che le era stata diagnosticata lo scorso luglio e che è riuscita a sconfiggere con la chemioterapia. La giovane, molto seguita su Instagram perché bravissima a disegnare, ha spiegato che tutto era cominciato nell’agosto dell’anno precedente, con uno strano prurito alle gambe. Un sintomo cui inizialmente non aveva dato particolare importanza, ma presente tra i segni clinici di questa forma tumorale che colpisce il sistema linfatico, cioè l’insieme dei tessuti che hanno la funzione di difendere l’organismo dall’attacco di agenti esterni e dalle malattia, come i linfonodi, la milza e il midollo osseo. Nella maggioranza dei casi – spiega la Fondazione AIRC per la ricerca contro il cancro nel suo sito ufficiale – il primo sintomo del linfoma di Hodgking è un ingrossamento dei linfonodi, soprattutto di quelli della regione cervicale. Altri sintomi si sviluppano quando la malattia si diffonde, inclusi febbre, sudorazioni notturne e perdita di appetito con conseguente perdita di peso.

Cos’è il linfoma di Hodgkin

Il linfoma di Hodgkin è una forma di tumore relativamente rara, che colpisce circa 4 persone ogni 100mila abitanti e che nella popolazione in generale rappresenta circa lo 0,5% di tutti i casi di tumore diagnosticati. Tuttavia è una delle neoplasie maligne più frequenti tra i 15 e i 35 anni, con la fascia di età tra i 20 e i 30 anni che rappresenta quella più a rischio. Generalmente sono gli uomini a presentare un rischio leggermente maggiore rispetto alle donne e, sebbene come molte altre malattie del sangue non siano ancora state chiarite le cause alla base di questa forma tumorale, a giocare un ruolo nella predisposizione allo sviluppo di questa neoplasia sono la storia familiare e le associazioni ambientali, come l’esposizione a pesticidi, agenti chimici e radiazioni ionizzanti. Una possibile causa è data dal virus Epstein-Barr responsabile della mononucleosi infettiva, spesso riscontrato nei pazienti colpiti da questa neoplasia.

Il linfoma di Hodgkin, spiega l’ematologo Carmelo Carlo Stella, professore ordinario di Ematologia dell’Università Humanitas, viene suddiviso in due principali tipologie che possono richiedere trattamenti diversificati: il classico, che rappresenta circa il 95% di tutti i casi, e quello a predominanza linfocitica, che costituisce il restante 5%. Per la diagnosi, l’esame fondamentale è la biopsia dei linfonodi, ovvero il prelievo di tessuto linfatico che viene analizzato al microscopio. Occorre inoltre effettuare la stadiazione della malattia, cioè valutare quanto è estesa, attraverso diagnostica per immagini come TAC, la risonanza magnetica, l’ecografia e la PET. “In particolare quest’ultima indagine sta assumendo un’importanza sempre maggiore non solo per la stadiazione, ma anche per valutare la risposta alla terapia eseguita –  indica il professor Stella –  . Al termine di queste indagini viene attribuito uno stadio alla malattia che va da I a IV in base alle sedi infiltrate e al coinvolgimento o meno di organi non linfoidi; allo stadio viene associato il suffisso A o B a seconda della presenza o meno di sintomi sistemici (febbre, calo ponderale, sudorazioni notturne)”.

Le possibilità di guarigione, specie in giovane età, sono elevate, con l’ottenimento della remissione in circa l’80-85% dei pazienti. “Normalmente la terapia non incide sulla possibilità di avere figli – aggiunge Stella – ma è opportuno proporre ai pazienti giovani, prima di iniziare le cure, la preservazione mediante congelamento del liquido seminale negli uomini e degli ovociti o del tessuto ovarico nelle donne”. Riguardo ai trattamenti più idonei, questi dipendono da fattori come stadio e tipo di malattia, oltre che dall’età del paziente e condizioni di salute generali. La chirurgica, generalmente, non è utilizzata (se non al momento di eseguire la biopsia) mentre sono trattamenti d’elezione la chemioterapia e la radioterapia, sia da sole che in combinazione. I recenti progressi della ricerca hanno inoltre permesso lo sviluppo diversi nuovi farmaci biologici come il brentuximab-vedotin (un anticorpo che riconosce la molecola CD30 sulle cellule malate e che veicola una tossina al loro interno distruggendole in maniera selettiva) o come i cosiddetti inibitori di PD-1 e PD-L1. Nel caso del linfoma di Hodgkin a predominanza linfocitica è inoltre possibile utilizzare anticorpi anti-CD20.

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