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Covid 19

Cosa sappiamo sul rapporto tra rischi e benefici del vaccino Covid di AstraZeneca

La campagna vaccinale contro il coronavirus SARS-CoV-2 è stata rivoluzionata dopo il blocco di AstraZeneca in chi ha meno di 60 anni. La decisione, presa dal governo in seguito al decesso della giovane Camilla Canepa, è legata anche al rapporto rischi e benefici in un contesto di bassa circolazione virale. Ecco cosa dicono i dati dell’EMA.
A cura di Andrea Centini
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Il caso della sfortunata diciottenne di Sestri Levante Camilla Canepa, deceduta per una grave trombosi dopo aver ricevuto la prima dose di Vaxzevria, ha fatto piombare (nuovamente) il vaccino anti Covid di AstraZeneca in un turbinio di polemiche, che hanno spinto il governo a sospenderne definitamente la somministrazione in tutti coloro che hanno meno di 60 anni. L'Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) in realtà raccomandava da tempo l'uso del vaccino a vettore adenovirale soltanto negli over 60, esattamente come avviene per il monodose di Johnson & Johnson, proprio a causa dell'associazione con i rarissimi eventi tromboembolici. Fu l'emersione dei primi casi – e in particolar modo della pericolosa trombosi della vena sinusale – a determinare mesi addietro le prime sospensioni temporanee e le conseguenti rimodulazioni delle campagne vaccinali. Nonostante le raccomandazioni dell'AIFA, tuttavia, molte Regioni italiane hanno continuato a somministrare i vaccini a vettore adenovirale anche ai giovani, in particolar modo durante gli Open Day che hanno riscontrato un enorme successo. Ma il decesso della giovane ligure, le cui esatte cause sono al vaglio degli esperti, ha sparigliato le carte in tavola portando al blocco definitivo per AstraZeneca sotto i 60 anni (non per il Johnson & Johnson).

A questa decisione sono seguite dichiarazioni favorevoli e contrarie, tra le quali una delle più discusse (perché mal interpretate) è stata quella del dottor Marco Cavaleri, a capo della Task Force sui vaccini dell'Agenzia Europea per i Medicinali (EMA). Lo scienziato ha sottolineato in una precisazione alla Reuters che il vaccino di AstraZeneca “mantiene un profilo di rischi – benefici favorevole in tutte le età, ma in particolar modo negli anziani sopra i 60 anni”. È proprio sul delicato equilibrio tra benefici e reazioni avverse gravi che si gioca la partita dei vaccini a vettore adenovirale, che in un contesto di bassa circolazione del coronavirus SARS-CoV-2 come quella attuale, nelle fasce di età più giovani potrebbe non essere palesemente favorevole. Lo ha annunciato più volte anche l'Agenzia di regolamentazione dei medicinali e dei prodotti sanitari (MHRA) britannica nel suo bollettino sulla sorveglianza epidemiologica (lo “Yellow Card”). Del resto è noto che i più giovani si ammalano gravemente di COVID-19 in percentuali sensibilmente inferiori rispetto alle fasce di età più mature, e laddove il virus circola poco destinare determinati vaccini in base all'età può essere una strategia vincente. Lo aveva dichiarato su Twitter anche il professor Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe: “Con una bassa circolazione virale, nelle persone di età inferiore ai 30 anni, i rischi di Astrazeneca possono essere maggiori dei benefici”. L'EMA, d'altro canto, che non ha mai indicato limiti di età, genere o altro per il vaccino di AstraZeneca, continua a ribadire che “il rapporto rischi/benefici del vaccino AstraZeneca #COVID19 è positivo e rimane autorizzato per tutte le popolazioni”, sottolineando altresì che si sta facendo disinformazione sul caso.

In un rapporto pubblicato qualche tempo fa è stata proprio l'Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) a sottolineare qual è l'effettivo rapporto tra rischi e benefici del vaccino della società anglo-svedese. Nella fascia tra i 20 e i 29 anni, ad esempio, risultano 4 probabilità su 100mila di evitare l'ospedalizzazione per l'infezione da coronavirus SARS-CoV-2 rispetto a 1,9 probabilità su 100mila di sviluppare una trombosi dopo l'inoculazione di AstraZeneca. Nella fascia tra i 60 e i 69 anni, invece, ci sono 19 probabilità su 100mila di evitare l'ospedalizzazione e solo una di essere colpiti da trombosi. Appare dunque evidente il netto vantaggio del vaccino anglosvedese per le fasce più mature, sebbene resti comunque significativo anche tra i più giovani secondo i dati dell'EMA. Meno incisivo per un'altra indagine dell'Università di Oxford, in base alla quale per chi ha tra i 20 e i 29 anni ci sono 0,8 probabilità su 100mila di evitare la terapia intensiva e 1,1 probabilità di avere una trombosi dopo la dose di Vaxzevria. Tra i 60 e i 69 anni, risultano 14,1 probabilità di evitare il ricovero e 0,2 casi di tromboembolia, dato che sottolinea il vantaggio della vaccinazione per i più anziani.

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