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Cosa sappiamo dell’efficacia del vaccino Astrazeneca sugli over 65 e perché può essere un problema

I media tedeschi riportano che l’efficacia tra gli over 65 sarebbe di solo l’8%. L’Azienda ha smentito, replicando che si tratta di informazioni “completamente sbagliate”. I dati sarebbero comunque non abbastanza per calcolare la protezione nella popolazione più anziana, come indicato nello studio su The Lancet dove meno del 4% dei volontari aveva più di 70 anni. Per l’Europa il nodo da sciogliere va ben oltre il taglio delle dosi, con i singoli Stati che, in caso di approvazione dell’Ema, potrebbero decidere di riservare questo vaccino ai più giovani.
A cura di Valeria Aiello
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Il vaccino anti-Covid di Astrazeneca avrebbe un’efficacia estremamente ridotta nelle persone con più di 65 anni. Lo affermano alcuni media tedeschi, tra cui Handelsblatt e Bild, citando stime del governo di Berlino, secondo cui l’efficacia tra gli over 65 sarebbe di solo l’8%. Un dato che, se confermato, metterebbe in dubbio l’idoneità del siero in una delle fasce di età a maggiore rischio di Covid-19, segnando una frenata nei piani di vaccinazione. Sempre secondo alcuni media locali, le autorità tedesche avrebbero dubbi sull’approvazione del vaccino da parte dell’Agenzia europea dei medicinali (EMA), il cui parere è atteso in questa settimana.

Astrazeneca ha smentito la notizia, replicando che si tratta di informazioni “completamente sbagliate” sebbene i dati sull’efficacia nella popolazione più anziana non siano abbastanza ha indicato Marco Cavalieri, responsabile vaccini dell’EMA. “Chiariremo, certamente nel sommario del prodotto che l’efficacia non è stata stabilita propriamente per la popolazione più anziana” le sue parole al Messaggero.

Dubbi sull'efficacia di Astrazeneca

I punti che l’Europa dovrà dirimere con l’azienda britannico-svedese potrebbero quindi andare ben oltre il taglio del 60% delle dosi annunciato per il primo trimestre 2021, il che significherebbe che all’Italia verrebbero consegnate 3,4 milioni di dosi anziché 8 milioni. Le iniziative legali minacciate dal premier Giuseppe Conte, così come le pressioni della Commissione europea affinché le forniture previste nei contratti siano rispettate, sembrano doversi scontrare con il nodo dell’efficacia nella popolazione più anziana.

In caso di approvazione, l’EMA potrebbe non inserire un limite di età alla somministrazione, ritenendo che il rapporto rischio-beneficio non sia negativo per gli anziani e lasciando ai singoli Stati la decisione di riservare questo vaccino alle persone più giovani. L’efficacia ipotizzata tra i 18 e 55 anni che, nella prima analisi ad interim dei dati su 11.636 volontari, ha rappresentato la fascia di età più numerosa (l’87%), non dovrebbe discostarsi da quanto precedentemente osservato (62% nella coorte che ha ricevuto due dosi complete e 90% nei partecipanti che hanno ricevuto una mezza dose alla prima somministrazione seguita da una dose piena). Sulle ragioni di questa differenza, l’Europa ha quindi chiesto ulteriori approfondimenti per determinare il meccanismo sottostante l’aumentata efficacia del regime a basso dosaggio.

Meno del 4% dei volontari over 70

Un’altra limitazione di questo trial clinico era appunto rappresentata dalla scarsa numerosità dei partecipanti con più di 70 anni di età (meno del 4%) come indicato nei primi dati su efficacia e sicurezza pubblicati all’inizio di dicembre su The Lancet. Su questi dati si è comunque basato il parere dell’Agenzia regolatoria britannica (MHRA) che alla fine di dicembre per prima ha approvato il vaccino nel Regno Unito. “I dati pubblicati su The Lancet dimostrano che gli anziani hanno mostrato forti risposte immunitarie al vaccino, con il 100% degli anziani che generavano anticorpi specifici per il picco dopo la seconda dose – ha affermato un portavoce di AstraZeneca ad AGI – . Nel Regno Unito, il Jcvi ne ha supportato l'uso in questa popolazione e l'Mhra ha incluso questo gruppo senza aggiustamento della dose nell'autorizzazione per la fornitura di emergenza” .

Diversamente dai vaccini a mRna prodotti da Pfizer e Moderna (il primo approvato in Europa il 21 dicembre e il secondo il 6 gennaio) quello realizzato da Astrazeneca in collaborazione con l’Università di Oxford (ChAdOx1 nCoV-19 o AZD1222) utilizza un vettore virale di scimpanzé basato su una versione indebolita di un comune virus del raffreddore (adenovirus) che contiene il materiale genetico (DNA) della proteina Spike che Sars-Cov-2 normalmente utilizza per legare il recettore ACE2 sulle cellule umane e penetrare al loro interno.

Dopo la vaccinazione, il materiale genetico serve da stampo per la produzione della proteina Spike che, una volta sintetizzata, induce la risposta immunitaria che sarà in grado di contrastare il virus in caso di esposizione. Nello studio già citato, l’analisi di efficacia si è basato sulle infezioni sintomatiche registrate nelle persone di età compresa tra i 18 e 55 anni: in particolare sono stati registrati 30 casi di Covid-19 con esordio a distanza di almeno 14 giorni dalla somministrazione della seconda dose nel gruppo dei vaccinati contro 101 nel gruppo di controllo. A distanza di 21 giorni dalla prima dose sono stati 10 i casi di Covid-19 che hanno richiesto ricovero in ospedale, tutti nel gruppo di controllo.

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