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Covid 19

Cosa sappiamo sulla variante “Mu” del coronavirus, la nuova variante di interesse elencata dall’OMS

Il 30 agosto l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha inserito una nuova variante di interesse nell’elenco ufficiale, la variante “Mu”, scoperta a gennaio del 2021 e identificata in 39 Paesi, Italia compresa. Ecco cosa sappiamo su questo lignaggio e perché va tenuto sotto stretta sorveglianza dagli esperti.
A cura di Andrea Centini
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Coronavirus su cellule in coltura. Credit: NIAID
Coronavirus su cellule in coltura. Credit: NIAID
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L'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) divide le varianti del coronavirus SARS-CoV-2 in due categorie principali: le varianti di interesse (VOI), che sono responsabili di focolai in più Paesi e che presentano caratteristiche potenzialmente in grado di rendere il virus più trasmissibile, virulento e/o in grado di eludere gli anticorpi neutralizzanti (sia quelli indotti dai vaccini che da precedenti infezioni naturali); e le varianti di preoccupazione (VOC), ovvero ceppi del patogeno per i quali tali caratteristiche sono state confermate dalle indagini epidemiologiche. Nel momento in cui stiamo scrivendo si riconoscono quattro varianti di preoccupazione – l'Alfa, la Beta, la Gamma e la Delta (con quest'ultima attualmente dominante in larga parte del mondo) – e cinque varianti di interesse, ovvero Eta, Iota, Kappa, Lambda e Mu. Quest'ultima è stata appena aggiunta all'elenco delle VOI dall'OMS, dopo aver dimostrato di potersi distinguersi dalla marea di lignaggi che emergono continuamente mentre il SARS-CoV-2 si diffonde, replica e muta negli ospiti infettati.

A descrivere le diverse caratteristiche della variante Mu è il professor Paul Griffin, docente di Malattie Infettive e Microbiologia presso l'Università del Queensland, che ha pubblicato un articolo ad hoc su The Conversation. La nuova variante di interesse, inserita nell'elenco il 30 agosto, fu scoperta a gennaio 2021 in Colombia ed è stata classificata con il nome in codice di lignaggio B.1.621. All'inizio di luglio la Public Health England (PHE) l'aveva identificata col nome di VUI-21JUL-1. Ad oggi, come spiega l'OMS nell'ultimo aggiornamento del “Weekly epidemiological update on COVID-19” datato 31 agosto, la variante Mu è stata identificata in 39 Paesi, Italia compresa (con poco meno di 80 casi). La variante Mu ha dato vita anche a una variante "figlia" chiamata B.1.621.1 che è stata rilevata in una ventina di Paesi (in Italia 14 casi). In totale, sottolinea l'OMS, sono state caricate 4.500 sequenze di variante Mu sulla banca dati genetica internazionale GISAID, 3794 relative al ceppo “madre” (B.1.621) e 856 del derivato (B.1.621.1). Ad oggi i casi sequenziati sono inferiori allo 0,1 percento del totale e la maggior parte di essi sono concentrati in Colombia (39 percento) ed Ecuador (13 percento). Tenendo presente che questa variante è in circolazione dall'inizio dell'anno, al momento la sua diffusione risulta contenuta e non ha dato vita a exploit come le varianti di preoccupazione Alfa e Delta, che hanno rispettivamente guidato la seconda ondata di contagi dello scorso inverno e la terza/quarta attuale.

Ma perché la variante Mu è stata classificata come variante di interesse dall'OMS? Oltre ad aver dato vita a focolai più o meno significativi in decine di Paesi, la ragione principale risiede nel fatto che possiede una serie di mutazioni già osservate in altre varianti che hanno dimostrato una certa resistenza agli anticorpi e maggiore trasmissibilità. Nel genoma della variante Mu sono presenti 21 mutazioni, nove delle quali di amminoacidi tutte localizzate sulla proteina S o Spike, il “grimaldello biologico” sfruttato dal patogeno per legarsi al recettore ACE-2 delle cellule umane, rompere la parete cellulare, riversare l'RNA virale all'interno e dare vita al processo di replicazione, che è alla base dell'infezione/malattia (chiamata COVID-19). Tra le mutazioni più significative vi sono la E484K, una mutazione di fuga immunitaria, la N501Y e la D614G, oltre a T95I, Y144S, Y145N, R346K, P681H e D109N. L'OMS sottolinea che i dati preliminari relativi alla variante Mu presentati al Virus Evolution Working Group evidenziano una certa capacità nel ridurre l'attività di neutralizzazione sia nei sieri dei convalescenti che dei vaccinati, in modo non dissimile dalla variante Beta (ex sudafricana), tuttavia, come affermato dal professor Griffin, si tratta di osservazioni in laboratorio che devono essere verificate nel mondo reale, sulla popolazione. Ciò che è certo è che i vaccini anti Covid già approvati dall'EMA e dall'AIFA hanno dimostrato di essere efficaci contro tutte le varianti in circolazione.

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