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Cosa sappiamo del calo di efficacia dei vaccini Covid

Un nuovo studio americano dimostra l’importanza della terza dose non solo nelle persone più anziane, analizzando l’efficacia dei vaccini nel proteggere dal contagio e dalle forme fatali di Covid-19 a otto mesi dal primo ciclo vaccinale.
A cura di Valeria Aiello
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A livello globale, i vaccini Covid stanno dimostrando di funzionare molto bene, riducendo sensibilmente i tassi di malattia grave e di morte nelle persone immunizzate. Tuttavia, un crescente numero di studi indica che la loro capacità di protezione diminuisce nel tempo. Ma di quanto?

Determinare con un numero preciso quale sia il calo di efficacia è complesso, in quanto la riduzione della protezione osservata dai ricercatori è il risultato di una serie di fattori e non solo di una diretta diminuzione della protezione poiché sottende anche da elementi come la circolazione virale, che può ad esempio variare a seconda dell’allentamento delle restrizioni e dei tassi di copertura vaccinale raggiunti in determinate aree, ma anche in funzione della diffusione di varianti virali più o meno pericolose. D’altra parte, i dati dei diversi studi sono difficili da aggregare, in quanto spesso condotti con metodi analitici differenti, su persone vaccinate con sieri diversi, oppure perché prendono in esame fasce di popolazione che, per caratteristiche come sesso, età, etnia o condizioni di salute, non sono sovrapponibili.

Indagare sull’efficacia dei vaccini Covid nel tempo è dunque più complicato di quanto sembri, ma un nuovo vasto studio americano ha in parte colmato questa lacuna, analizzando l’efficacia dei vaccini Covid approvati negli Stati Uniti (Pfizer-BioNTech, Moderna e Johnson & Johnson) nel proteggere dal contagio e dalla morte i veterani dell’esercito americano, che rappresentano il 2,7% della popolazione statunitense. L’analisi, condotta tra il 1° febbraio il 1° ottobre 2021 ha preso in esame le infezioni da Sars-Cov-2 e i decessi correlati a Covid-19 in 780.225 veterani, di cui 498.148 completamente vaccinati, includendo così il periodo in cui la variante Delta è emersa e diventata predominante negli Usa.

Efficacia dimezzata contro l’infezione

I risultati dello studio, pubblicati su Science, confermano che le persone vaccinate hanno meno probabilità di essere infettate dal virus rispetto alle persone non vaccinate, sebbene i dati abbiano indicato un calo di efficacia dei vaccini nel tempo, anche dopo aggiustamento dei risultati per età, sesso e comorbidità. “L’efficacia contro l’infezione è diminuita per tutti i tipi di vaccino – scrivono i ricercatori nel loro studio – con cali maggiori per il monodose di Johnson & Johnson, seguito da Pfizer-BioNtech e da Moderna”.

In particolare, a marzo 2021 la protezione dall’infezione era dell’86,4% per i vaccinati con J&J, dell’89,2% per Moderna e dell’89,9% per Pfizer-BioNtech. A settembre 2021, l’efficacia era scesa al 13,1% per J&J, al 58% per Moderna e al 43,3% per Pfizer-BioNTech. In pratica, i veterani che erano stati completamente vaccinati con il siero di Moderna hanno avuto un minor rischio di infezione, seguiti da vicino da quelli che avevano ricevuto il vaccino di Pfizer-BioNTech, e quindi da coloro che erano stati vaccinati con il monodose di J&J. In media, i tre vaccini hanno visto ridurre la loro protezione contro l’infezione dll’87,9% al 48,1%, ovvero un calo di efficacia di quasi la metà.

La protezione dal rischio di morte

I ricercatori hanno poi esaminato la protezione conferita da questi stessi vaccini contro le forme fatali di Covid-19. A differenza del rischio di infezione, l’efficacia nei confronti dei decessi correlati a Covid-19 è rimasta alta nel tempo, mostrando come i vaccinati abbiano un rischio molto più basso di morte dopo l’infezione rispetto non vaccinati. Questo risultato è stato osservato anche a diversi mesi dalla vaccinazione, sebbene siano emerse alcune differenze per età e tipo di vaccino. In particolare, a distanza di otto mesi dal ciclo vaccinale completo, il tasso di protezione medio era dell’81,7% negli under 65 e del 71,6% negli over 65. Al di sotto dei 65 anni, l’efficacia per vaccino contro le forme fatali di Covid-19 era del 73% per J&J, dell’81,5% per Moderna e dell’84,3% per Pfizer-BioNtech. Negli ultrasessantacinquenni, la protezione era invece del 52,2% per J&J, del 75,5% per Moderna e del 70,1% per Pfizer-BioNTech.

La nostra analisi per tipo di vaccino, comprendente i vaccini Pfizer-BioNTech, Moderna e Johnson & Johnson, suggerisce il declino dell’efficacia contro l’infezione nel tempo, in particolare per il vaccino J&J. Tuttavia, nonostante l’aumento del rischio di infezione dovuto alla variante Delta, l’efficacia contro i decessi è rimasta alta e, rispetto ai non vaccinati, i veterani completamente vaccinati avevano un rischio molto più basso di morte dopo l’infezione”.

Ad ogni modo, osservano gli studiosi, i dati mostrano un aumento del rischio di morte in seguito all’infezione nei vaccinati, supportando i continui sforzi nella ricerca e implementazione di interventi efficaci nel prevenire l’infezione nella popolazione. Un risultato che, nel contesto del dibattito sull’opportunità della terza dose, sostiene l’importanza del booster vaccinale non solo negli adulti più anziani, anche quando si tiene conto che il rischio di forme fatali di Covid-19 nei vaccinati è molto più basso rispetto ai non vaccinati. “Le infezioni nei vaccinati comportano ancora qualche rischio – concludono gli studiosi – suggerendo che pratiche di prevenzione aggiuntive (aumento dei tassi di vaccinazione, campagne di richiamo e misure aggiuntive sia per le persone vaccinate sia per quelle non vaccinate, tra cui uso delle mascherine, lavaggio delle mani e distanza fisica) saranno essenziali per ridurre i tassi di infezione”.

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