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Correre rischi o evitare di perdere? A deciderlo è l’amigdala

Un gruppo di ricercatori italiano ha analizzato i meccanismi cerebrali collegati alla irrazionale paura della perdita che ci condizionano nel momento in cui prendiamo delle decisioni.
A cura di Nadia Vitali
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Localizzazione dell'amigdala nel cervello, indicata dalle piccole frecce
Localizzazione dell'amigdala nel cervello, indicata dalle piccole frecce

Di fronte alla possibilità di operare una scelta può accadere, e molto spesso accade, di restare letteralmente bloccati dal timore; gli individui reagiscono in maniere assai diverse tra loro nell'ambito decisionale, molto spesso lasciandosi condizionare dalla paura di “perdere” qualcosa e rinunciando così a tutti gli eventuali rischi, anche se questi potrebbero comportare guadagni di qualunque tipo. Differenti approcci che corrisponderebbero ad altrettanto varie risposte cerebrali, secondo un recente lavoro di ricerca portato avanti dagli studiosi del Centro di Neuroscienze cognitive dell’Università Vita Salute San Raffaele di Milano, i cui risultati sono stati resi noti in un paper pubblicato da The Journal of Neuroscience. Attraverso una serie di esperimenti associati alla risonanza magnetica funzionale sarebbe stata individuata una relazione tra le dimensioni dell’amigdala e la propensione a cadere in quella che è una sorta di “trappola” che non consente agli individui di prendere decisioni con facilità, temendone gli effetti.

Valutare rischi e possibilità, immaginare a pesare le conseguenze negative o positive e i possibili sviluppi: elementi fondamentali della riflessione che può precedere il momento in cui si opta per una direzione anziché per un’altra, una volta appurato dove sia possibile ritrovare maggiori vantaggi. Normalmente, tuttavia, l’ipotesi della “perdita” riveste un peso maggiore rispetto a quello dei guadagni sul piatto della bilancia delle scelte, a meno che tali guadagni non costituiscano almeno il doppio dell’eventuale perdita. L’”avversione alle perdite”, spiegano gli autori dello studio in un comunicato, è un fenomeno che può essere considerato universale e che, secondo alcuni esperti, sarebbe anche da mettere in relazione con la crisi economica globale, quale fattore che viene scatenato nel momento di difficoltà contribuendo ad aggravare ulteriormente la situazione generale. Gli studiosi si sono interrogati sull'eventualità che tale atteggiamento “di rinuncia” – una sorta di “chiusura” alle opportunità che possono derivare dalle nuove sfide – derivi, anziché dalle facoltà razionali della mente che esamina e soppesa gli elementi a disposizione, da sentimenti negativi che finiscono per costituire un ostacolo allo sviluppo sereno del proprio personale percorso.

Al fine di comprendere al meglio i meccanismi cerebrali sottesi a tale processo, hanno quindi sottoposto alcuni volontari ad una serie di esperimenti. Ai partecipanti è stato chiesto di accettare o rifiutare una serie di scommesse che consentivano di vincere o perdere punti; vincite e perdite variavano a seconda della simulazione proposta, a volte potevano essere estremamente grandi, talvolta irrisorie; in alcuni casi la possibile vincita risultava essere il doppio della possibile perdita, ossia la situazione in cui la scelta diventa ancor più controversa per alcuni. Le diverse modalità di affrontare le risposte hanno dato agli studiosi un ampio ventaglio di combinazioni consentendo al contempo di identificare, grazie ad analisi sofisticate, quelle regioni cerebrali che, rispetto allo stato di riposo, subiscono variazioni nell'attività a seconda che si parli di guadagno o di perdita. In particolare si è notato come l’anticipazione di possibili guadagni attivi il sistema dopaminergico, la rete di strutture che comunicano attraverso la dopamina, coinvolta in processi quali il controllo delle emozioni e del comportamento; lo stesso sistema dopaminergico si disattiva per le perdite. Al contrario il sistema centrato sull'amigdala, piccola struttura posta nelle profondità dei due emisferi al di sopra del tronco cerebrale, dava segnali di più intensa attività per le perdite. A parità di somme in gioco, comunque, le risposte cerebrali associate alle perdite si caratterizzavano per una maggiore intensità: tale asimmetria si presenta in proporzioni estremamente diverse da persona a persona, rispecchiando proprio la tendenza dei singoli individui ad avere un atteggiamento di più o meno forte avversione nei confronti delle perdite, e sarebbe da mettere in relazione proprio con la variabilità di dimensioni dell’amigdala; quest’ultima si presenterebbe più grande nei soggetti maggiormente restii ad accettare la possibilità di perdere qualcosa.

In conclusione, i ricercatori si sono soffermati sul ruolo dell’amigdala come “strumento” in grado di riconoscere i potenziali pericoli derivanti dagli atti che si compiono, evidenziando tuttavia come la sua attivazione possa portare ad evitare radicalmente l’azione, come una sorta di freno che, se può risultare salvifico per alcuni aspetti, per altri può impedire di cogliere le buone occasioni, qualora non intervenga la riflessione ad allontanare le paure irrazionali. Gli autori dello studio sono fiduciosi negli sviluppi del proprio lavoro, indicandolo come un possibile punto di partenza in direzione di future ricerche sul ruolo dei fattori genetici associati alle esperienze di vita nella soggettiva propensione a correre rischi o, piuttosto, a preferire la tranquillità e la sicurezza.

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