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Covid 19

Coronavirus, primo caso di recidiva: paziente data per guarita risultata positiva la seconda volta

Il primo caso di recidiva di COVID-19, l’infezione scatenata dal nuovo coronavirus emerso in Cina, è stato registrato in Giappone. Si tratta di una donna di 40 anni, positiva una prima volta alla fine di gennaio, data per guarita all’inizio di febbraio e risultata positiva una seconda volta in questi giorni. Com’è possibile.
A cura di Andrea Centini
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Per la prima volta è stato scoperto un caso di recidiva della COVID-19, l'infezione scatenata dal nuovo coronavirus emerso in Cina (SARS-CoV-2). In altri termini, una persona data per guarita si è ammalata di nuovo. Si tratta di una donna giapponese di quaranta anni, che presta servizio come guida su autobus turistici della grande metropoli di Osaka. La donna era risultata positiva al coronavirus una prima volta alla fine di gennaio, dopo essere stata sottoposta al test del tampone faringeo. Ricoverata nella città del Giappone occidentale, è stata dimessa dopo pochissimi giorni (il primo febbraio) poiché risultata negativa a un successivo tampone in assenza di sintomi. Mercoledì 26 febbraio, tuttavia, ha accusato “mal di gola e dolori al petto”, come indicato in un comunicato stampa della prefettura di Osaka citato dalla Reuters. Recatasi nuovamente in ospedale, la donna è risultata positiva per la seconda volta al coronavirus. È la prima volta che si registra un caso del genere.

Ma com'è possibile una recidiva di COVID-19? Secondo il professor Philip Tierno, docente di Microbiologia e Patologia presso l'autorevole Scuola di Medicina dell'Università di New York (NYU), “Una volta che hai l'infezione, potrebbe rimanere inattiva e con sintomi minimi, e quindi sviluppare un'esacerbazione se si fa strada nei polmoni”. Tierno, intervistato dalla Reuters, ha aggiunto che ci sono ancora molti aspetti sconosciuti del nuovo coronavirus emerso nella città di Wuhan, nella provincia di Hubei: “Non sono sicuro che questo (virus) non sia bi-fasico, come l'antrace”, ha aggiunto lo specialista. L'antrace, conosciuta anche come carbonchio, è un'infezione causata da un batterio (il Bacillus anthracis) e non da un virus, ed è caratterizzata da un andamento bifasico. Nella fase iniziale si manifesta con sintomi non specifici, come febbre, tosse e malessere generalizzato, dunque molto simili a quelli di una sindrome influenzale (proprio come la COVID-19 innescata dal coronavirus); nella seconda, che si palesa a pochi giorni di distanza dalla prima, l'infezione degenera con la comparsa di gravi difficoltà respiratorie, sepsi e perdita di coscienza. L'antrace è letale nel 20 percento dei casi, dunque molto più della COVID-19.

Alla luce del caso della donna giapponese, il ministro della Sanità nipponico Katsunobu Kato ha dichiarato in parlamento che si dovrebbero tenere sotto controllo gli elenchi dei pazienti guariti e dimessi, proprio per verificare una possibile recrudescenza della patologia infettiva.

Coronavirus meno pericoloso del previsto

Come dichiarato a fanpage dalla virologa Ilaria Capua, il nuovo coronavirus potrebbe essere presente in Italia da diverso tempo, persino da mesi. Il fatto che fino ad oggi sia rimasto “nascosto” e che al momento si stiano registrando così tanti casi può essere vista come una buona notizia: “Tanto più cresce il numero delle persone infette – o meglio: tanto più scopriamo casi pregressi e passati inosservati – tanto meglio è. Perché vuol dire che il numero degli infetti è maggiore di quanto pensavamo. E il potenziale letale del virus, molto minore”, ha affermato la specialista.

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