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Covid 19

Coronavirus, perché medici e infermieri sono più esposti al rischio infezione

Secondo i dati della National Health Commission cinese sono oltre 3.300 gli operatori sanitari contagiati dal nuovo coronavirus emerso in Cina (SARS-CoV-2) da quando è scoppiata l’epidemia nella città di Wuhan. Anche in Italia si contano diversi medici e infermieri colpiti dal coronavirus, legati in particolar modo al focolaio lombardo. Ecco perché il personale sanitario è più esposto al rischio di contagio.
A cura di Andrea Centini
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Da quando in Cina si è diffusa la COVID-19, l'infezione scatenata dal nuovo coronavirus SARS-CoV-2, sono migliaia gli operatori sanitari (tra medici e infermieri) contagiati dalla patologia, rappresentando una delle “popolazioni” più a rischio in assoluto. In base a quanto dichiarato dalla National Health Commission cinese gli operatori sanitari infettati sarebbero più di 3.300, la stragrande maggioranza dei quali concentrati nella provincia dello Hubei, e in particolar modo a Wuhan. Si tratta della metropoli da 11 milioni di abitanti dove il virus ha compiuto il salto di specie da animale a uomo (tra il 20 e il 25 novembre 2019, in base a uno studio italiano) e dalla quale ha iniziato a diffondersi nel resto del mondo.

Sono almeno otto i medici cinesi morti a causa del coronavirus. Il più noto di tutti è sicuramente l'oculista 34enne Li Wenliang, che fu il primo a cercare di avvisare colleghi, parenti e amici della diffusione di una “misteriosa polmonite” alla fine del 2019. L'uomo fu severamente ammonito dalla polizia locale, che lo accusò di diffondere notizie false su internet. Com'è noto il medico aveva ampiamente ragione, e quando poté tornare al lavoro, acclamato come un vero e proprio eroe nazionale, si ammalò anch'egli di COVID-19. È morto il 7 febbraio, lasciando una moglie incinta e un figlio. Drammatica anche la storia di Peng Yinhua, medico 29enne, che avrebbe dovuto sposare la propria compagna il primo febbraio, ma che posticipò la data del matrimonio per assistere i suoi pazienti colpiti dal virus. Venne infettato e morì il 21 febbraio, due settimane dopo Li Wenliang. È spirato a causa del coronavirus anche il neurochirurgo Liu Zhiming, 51 anni, direttore del Wuchang Hospital di Wuhan. Sono tutti medici giovani (o giovanissimi) e in salute, che hanno perso la loro battaglia contro il patogeno emergente.

Simili casi si registrano ogni volta che emerge una nuova e aggressiva patologia infettiva. Tutti ricordano il caso del medico e microbiologo italiano Carlo Urbani, il primo a identificare e a classificare la SARS. Morì a soli 53 anni dopo essere entrato in contatto con un uomo d'affari americano ad Hanoi, in Vietnam, dal quale si era recato per una visita. Si accorse di trovarsi innanzi a una nuova malattia e richiese con urgenza la quarantena, grazie alla quale salvò moltissime vite. Ma non la sua, dato che morì circa un mese dopo a causa del virus. Anche l'Ebola ha chiesto un enorme tributo a medici e infermieri. In base a quanto stimato dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, infatti, gli operatori sanitari avevano un rischio di decine di volte superiore di ammalarsi rispetto alla popolazione generale; in Sierra Leone addirittura cento volte di più. E anche la MERS uccise numerosi operatori sanitari. Com'è possibile?

Innanzitutto, quando c'è una patologia infettiva emergente caratterizzata da sintomi aspecifici (come ad esempio febbre e tosse) i primi pazienti possono infettare con facilità i medici e gli infermieri in prima linea, quelli che ancora non sanno con quale malattia hanno a che fare. Quando poi una nuova epidemia – come quella di COVID-19 – si scatena come un fiume in piena sugli ospedali, travolgendo letteralmente gli operatori sanitari con un numero soverchiante di pazienti da assistere, non solo c'è il rischio che non ci siano protezioni sufficienti per tutti (come si ritiene sia accaduto in alcuni nosocomi cinesi), ma i ritmi di lavoro diventano massacranti. Medici e infermieri infatti non bastano per trattare tutte le persone che hanno bisogno di assistenza, e sono così sono sottoposti a turni di lavoro faticosissimi e al limite della sopportazione. Come dimostrato da un recente studio dell'Università del Michigan, lo stress può avere un forte impatto negativo sul sistema immunitario, e gli operatori sanitari così provati da turni di lavoro estenuanti possono risultare particolarmente esposti al rischio di contagio. Va infine considerato il fatto che medici e infermieri non sono esposti casualmente al virus, come può avvenire ad esempio su un mezzo pubblico, ma sono bersagliati costantemente da un mix di particelle virali dovute ai molteplici contatti con i pazienti, e pur con tutte le precauzioni possibili le probabilità di contrarre la malattia sono comunque significative. Insomma le persone che più si sacrificano per salvarci la vita sono anche le più esposte ai rischi, soprattutto in condizioni di emergenza come quella che stiamo vivendo adesso. E non le ringraziamo mai abbastanza per il loro straordinario lavoro.

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