Coronavirus, per ogni caso confermato ce ne sono 5-10 non diagnosticati
Per ogni caso confermato di COVID-19, l'infezione scatenata dal coronavirus SARS-CoV-2, ce ne sarebbero dai cinque ai dieci presenti nelle comunità senza essere stati identificati dalle autorità sanitarie. Benché generalmente queste persone presentino sintomi molto leggeri e siano decisamente meno infettive dei casi conclamati (attraverso il tampone rino-faringeo), esse sarebbero responsabili dell'80 percento di tutte le nuove infezioni.
A determinare questi dati è stato un team di ricerca internazionale guidato da scienziati della Facoltà di medicina presso l'Imperial College di Londra, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi del Dipartimento di Scienze della salute ambientale presso la Mailman School of Public Health dell'Università Columbia, del Dipartimento delle Risorse terrestri, aeree e idriche dell'Università della California, dell'Università di Hong Kong e dell'Università Tsinghua. I ricercatori, guidati dal professor Ruiyun Li, docente presso il Centro MRC per l'analisi globale delle malattie infettive dell'ateneo britannico, sono giunti alle loro conclusioni dopo aver calcolato la diffusione del coronavirus (attraverso modelli matematici) prima che il governo di Pechino imponesse il lockdown alla metropoli di Wuhan – da dove è partita la pandemia – e ad altre città della provincia dell'Hubei.
Secondo gli scienziati, da quando il virus ha compiuto il salto di specie (tra il 20 e il 25 novembre, in base ai risultati di uno studio italiano) fino all'introduzione delle misure draconiane verso la fine di gennaio, si ritiene che sei contagiati su sette non siano stati individuati, l'86 percento del totale. Per Ruiyun Li e colleghi questa situazione è presente anche negli Stati Uniti e nei diversi Paesi europei dove il virus sta circolando, poiché i tamponi non sono stati fatti a tappeto. “Se avremo 3.500 casi confermati negli Stati Uniti, in realtà potrebbero essercene 35.000”, ha affermato al New York Times il professor Jeffrey Shaman, epidemiologo dell'Università Columbia e tra i principali autori dell'articolo.
Sulla base dei dati cinesi, a seguito del lockdown è stato effettuato un numero di tamponi sensibilmente superiore che ha permesso di identificare il 60 percento dei contagiati, contro il 14 percento di quelli identificati prima dell'introduzione delle misure draconiane. Gli autori dello studio sottolineano che chi contrae la malattia dai casi lievi non identificati non necessariamente sviluppa una sintomatologia lieve, ma potrebbe finire anche in terapia intensiva, come specificato da Shaman. I dettagli della ricerca sono stati pubblicati sull'autorevole rivista scientifica Science.