Contrordine: gli scienziati non hanno sentito l’eco dell’inflazione cosmica
A marzo gli esperti del Centro di Astrofisica Harvard-Smithsonian avevano annunciato ad un mondo scientifico in trepidante attesa (favorita dalle indiscrezioni dei giorni precedenti) di aver finalmente trovato quello che può essere definito «il Sacro Graal della cosmologia». In pratica, sostenevano di aver realizzato «la prima immagine diretta delle onde gravitazionali attraverso il cielo primordiale»: si trattava della prova diretta dell'inflazione cosmica, fenomeno teorizzato e previsto dal modello standard del Big Bang. Adesso, però, pare che i calcoli debbano essere rifatti. Perché? Tutta colpa della polvere.
Primi echi dell'Universo
Quelle onde gravitazionali primordiali dovevano costituire «i primi tremori del Big Bang», secondo quanto dichiarato dagli stessi scienziati: per intenderci, esse sarebbero state originate dalla fase di espansione accelerata sperimentata dall'Universo a partire da una frazione infinitesimale di secondo (10 elevato alla meno 34) dopo la grande esplosione. Un processo che avrebbe prodotto quelle onde gravitazionali le quali, a loro volta, avrebbero dovuto lasciare una traccia nella radiazione cosmica di fondo, ossia nella radiazione elettromagnetica residua del Big Bang, individuata nel 1964 con una scoperta da premio Nobel. Ecco, gli scienziati ritenevano di aver rilevato proprio queste onde, in pratica i primi vagiti del neo-nato universo quasi 14 miliardi di anni fa: il tutto grazie all'esperimento BICEP (acronimo che sta per Background Imaging of Cosmic Extragalactic Polarization) e al suo radiotelescopio BICEP2 posto presso la base permanente Amundsen–Scott del Polo Sud.
Tutto da rifare!
Il problema è sorto adesso, quando si è confrontato questo risultato con i dati provenienti dal satellite Planck dell'ESA. Gli stessi esperti di Harvard avevano sottolineato che c'era la possibilità di qualche interferenza nelle loro rilevazioni: tuttavia, per procedere nella maniera più sicura possibile, avevano puntato l'occhio scrutatore del telescopio in direzione di una porzione di cielo meridionale in cui il materiale extragalattico doveva essere relativamente poco. Adesso, invece, salta fuori che i dati di Planck, all'epoca delle osservazioni, erano incompleti e, in buona sostanza, in quell'oblò di cielo concesso a BICEP2 per osservare la radiazione cosmica di fondo ci sarebbe più polvere interstellare di quanto si supponeva fino a pochi mesi fa. Quindi, niente segnali dall'alba del cosmo ma, più semplicemente, dalla Via Lattea: e necessità di ripetere le misurazioni. Ruolo importante in queste ultime valutazioni anche per la ricerca italiana: tra gli autori dello studio, già disponibile su ArXiV e in via di pubblicazione su Astronomy & Astrophysics ci sono, infatti, gli scienziati della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati SISSA di Trieste dell'INAF-OATS e dell'Università Sapienza di Roma.
Una prima analisi delle informazioni raccolte da Planck avrebbe evidenziato come il segnale attribuito all'inflazione potrebbe essere dovuto a polveri intergalattiche incontrate dalla radiazione di fondo prima di rivelarsi. Nazareno Mandolesi, responsabile di uno degli strumenti a bordo di Planck, spiega sulle pagine di Le Scienze: «Il risultato di BICEP2 è certamente inficiato dalla presenza di questa polvere presente non solo in direzione del piano galattico ma, in qualche misura, anche nella zona di cielo che in quell'esperimento era considerata pulita. Planck ha dimostrato che non si può fare un esperimento a un sola frequenza e osservando una zona limitata del cielo con segnali così piccoli, dell'ordine del decimo di microkelvin: BICEP è un bellissimo esperimento per contenuto tecnologico, ideazione e programmazione, ma è stato commesso l'errore di fidarsi della lontananza dal piano galattico». Quindi ora, al lavoro per "ripulire" il segnale dalle interferenze e risultati attesi, pare, per la fine di novembre: saranno quelli definitivi?