Greenpeace, come ti distruggo il clima in 14 semplici mosse
Siamo già prossimi al "punto di non ritorno" per la Terra? Secondo i più pessimisti sì, secondo Greenpeace anche e potremmo avvicinarci più rapidamente ad esso qualora quattordici progetti in via di realizzazione venissero definitivamente approvati e fatti partire: quattordici iniziative di proporzioni vastissime che «equivarrebbero quasi certamente alla nostra sconfitta nella sfida ai cambiamenti climatici» in termini di aumento delle emissioni di CO2 nell'atmosfera, portando ad un drastico peggioramento delle condizioni di un Pianeta che già arranca tra riscaldamento globale crescente e squilibri conseguenti.
Si tratta di programmi di sfruttamento delle fonti fossili che interessano gli angoli più distanti tra loro della Terra e i cui effetti porterebbero ad un incremento di emissioni di anidride carbonica stimate in circa 6.34 miliardi di tonnellate annui. Il rapporto, pubblicato al momento soltanto in lingua inglese, punta il dito contro progetti che, oltre a danneggiare ulteriormente l'ambiente, penalizzeranno enormemente lo sviluppo e la crescita delle fonti di energia rinnovabili ed andranno ad influire sulla salute di alcuni tra i più celebri ecosistemi del mondo, tra cui la Grande Barriera Corallina australiana, l'Artico, il Fiume Giallo in Cina, la Foresta del Grande Orso del Canada. Tutto questo, senza considerare l'incremento di rischio che si verifichino incidenti drammatici come quello che ha interessato pochi anni fa la piattaforma DeepWater Horizon nel Golfo del Messico, le cui conseguenze sono a tutt'oggi tali da non poter essere ancora del tutto quantificate.
America ed Oceania – Entro il 2025, il carbone proveniente dall'Australia sarà aumentato di oltre 400 milioni di tonnellate per anno, portando le emissioni di CO2 associate a superare i 1.200 milioni annui, pari a circa tre volte l'ammontare delle emissioni provenienti dall'energia utilizzata nelle abitazioni di tutto l'intero Paese. Dall'altro lato dell'Oceano, negli Stati Uniti, l'attività estrattiva del gas e lo stesso carbone contribuiranno a riscaldare il Pianeta rispettivamente con 280 e 420 milioni di tonnellate di CO2 entro il 2020. In Canada, l'espansione delle attività sui giacimenti di sabbie bituminose dell'Alberta (che sarà pari a tre volte quella attuale) aggiungerà circa 420 milioni di tonnellate di CO2 all'anno, pari a quelle dell'Arabia Saudita. Le sabbie bituminose del Venezuela e l'estrazione dalle piattaforme nell'Oceano del Brasile rilasceranno nell'atmosfera rispettivamente 190 e 660 milioni di tonnellate di CO2 entro il 2035. Infine, le trivellazioni nel Golfo del Messico porteranno ad un incremento delle emissioni pari a 350 tonnellate di CO2, la medesima quantità prodotta dalla Francia nel corso dell'intero 2010.
Africa ed Asia – Nuove produzioni di gas naturale porteranno anche il continente africano a rilasciare il proprio contributo in termini di inquinamento dell'aria (240 milioni di tonnellate) mentre spostandosi verso oriente troviamo l'Iraq che, con l'aumento dei barili di petrolio estratti, vedrà aumentare anche le proprie emissioni che aggiungeranno circa 420 milioni di tonnellate di CO2 all'atmosfera entro il 2020. Turkmenistan, Azerbaijan e Kazakhstan e il gas del Mar Caspio forniranno anch'esse il proprio ingente quantitativo di anidride carbonica, mentre i piani di espansione delle province nordoccidentali della Cina genereranno per i prossimi anni 1400 milioni di tonnellate di CO2 aggiuntive, pari quasi alle emissioni di tutta la Russia nel 2010; in Indonesia sono i vasti progetti di esportazione di carbone a costituire una minaccia non soltanto per l'atmosfera ma anche per il fortissimo impatto ambientale sulle popolazioni locali e sulle foreste tropicali, riserva di biodiversità.
Infine l'Artico, laddove i rischi legati alle trivellazioni andrebbero ad addizionarsi ai problemi che questo ecosistema fragile e ormai non più incontaminato sta affrontando negli ultimi decenni: tra scioglimento dei ghiacci ed alterazioni organiche per molte tra le creature che vivono tra quelli che un tempo furono le candide terre oltre il circolo polare artico, uno degli ultimi territori rimasti leggermente protetti dalla mano distruttrice dell'uomo sembra anch'esso candidato a diventare responsabile di emissioni (in ragione di giacimenti di petrolio e gas naturale) stimate intorno ai 520 milioni di tonnellate all'anno.