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Come sta andando la cura Covid con gli anticorpi monoclonali in Italia

Nella prima settimana di uso gli anticorpi monoclonali sono stati somministrati in 15 diverse regioni a 230 persone contagiate dal coronavirus Sars-Cov-2, scelte con criteri ben precisi da medici di famiglia, di pronto soccorso e delle Unità speciali di continuità assistenziale (USCA).
A cura di Valeria Aiello
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È iniziata anche in Italia la somministrazione degli anticorpi monoclonali contro il coronavirus Sars-Cov-2, ad oggi l’unica terapia specifica per Covid-19. Diversamente da tutti gli altri medicinali, il cui impiego è in profilassi, cioè per curare i sintomi e non la causa della malattia (come antinfiammatori, cortisone ed eparina), gli anticorpi monoclonali sono infatti l’unico trattamento specifico attualmente disponibile in grado di bloccare l’ingresso del virus nelle cellule umane e quindi di fermare l’infezione.

Partita la somministrazione in Italia

Nella prima settimana di uso in Italia, gli anticorpi monoclonali contro Covid-19 sono stati somministrati in 15 Regioni a 230 positivi, scelti da medici di famiglia, di pronto soccorso e dalle Unità speciali di continuità assistenziale (USCA) secondo i criteri disposti dall’Agenzia del farmaco (AIFA) che lo scorso febbraio li ha resi autorizzati con procedura straordinaria, consentendo di fare ricorso a medicinali che devono ancora avere il via libera a livello europeo da parte dell’EMA.

Il provvedimento dell’AIFA riguarda due prodotti, la combinazione di anticorpi monoclonali prodotta da Eli Lilly e una seconda prodotta da Regeneron con Roche, il “cocktail” che ha fatto notizia nei mesi scorsi perché venne somministrato anche all’ex presidente americano Donald Trump. La terapia, che va fatta entro 10 giorni dalla comparsa dei sintomi di grado lieve-moderato, è indicata solo per i pazienti non ospedalizzati e con fattori di rischio noti, ovvero con condizioni di salute preesistenti (trra cui obesità, diabete, malattia renale cronica, patologie cardio-cerebrovascolari, BPCO e altre malattie respiratorie croniche), che li espongono al peggioramento.

I pazienti arrivano in ospedale, un’ora per l’infusione, un’altra per l’osservazione, poi tornano a casa – ha spiegato a Repubblica l’infettivologo Francesco Menichetti, Direttore dell’Unità di Malattie Infettive presso l’AOU di Pisa che li ha somministrati a 25 persone – . Vanno dati a chi ha ancora pochi sintomi ma con fattori di rischio che fanno prevedere un aggravamento”. Si tratta di over 65 con un’altra malattia importante o under 65 e con più malattie gravi, secondo l’elenco stilato dall’AIFA. Il trattamento, il cui costo a carico del sistema sanitario si aggira intorno ai 1.500-2.000 euro, prevede una singola infusione in ospedale.

Come sta andando?

Non è facile dirlo – ha ammesso l’infettivologo Paolo Bonfanti, professore presso l’Università Milano-Bicocca e Direttore dell’UOC di Malattie Infettive del San Gerardo di Monza, che ha trattato una decina di pazienti – L’obiettivo è evitare sintomi gravi e ricovero. Ma molti pazienti superano l’infezione da soli. È difficile per noi capire se il merito di una guarigione è degli anticorpi monoclonali o della risposta naturale del paziente”.

La somministrazione è partita anche negli ospedali di Lazio, Campania ed Emilia Romagna. Proprio dal Sant’Orsola di Bologna arrivano i primi riscontri su uno dei pazienti trattati. “Aveva avuto un trapianto, era immunodepresso e con il Covid ha sviluppato febbre e polmonite in pochissimi  giorni. Dopo il trattamento è migliorato rapidamente – ha spiegato il primario Pierluigi Viale – . Un paziente che da solo non riesce a produrre anticorpi è il tipico caso in cui i monoclonali sono utili, senza troppi dubbi”.

Le prove di efficacia sono ancora preliminari, in particolare per quanto riguarda le varianti del coronavirus, che non vengono riconosciute in egual modo dagli anticorpi monoclonali. Non dovrebbero esserci problemi con quella inglese, mentre contro quella sudafricana e la brasiliana sembra esserci una riduzione dell’efficacia. Attualmente, negli Stati Uniti è utilizzato un altro prodotto, chiamato Vir, che sembra agire in modo più efficiente contro tutte le tre varianti, con il vantaggio di poter essere somministrato per via intramuscolare anziché endovenosa.

In Italia è partita anche la sperimentazione di un terzo prodotto monoclonale, concepito allo stesso modo e messo a punto dal Toscana Life Sciences sotto la direzione scientifica del professor Rino Rappuoli. Negli studi preliminari ha dimostrato “una potenzia neutralizzante per cui è sufficiente un dosaggio più basso”. Nel test clinici sono stati coinvolti i primi 40 volontari ed entro maggio sono previsti i risultati.

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