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Covid 19

Come si diffonde il coronavirus nei mattatoi e perché non dobbiamo preoccuparci della carne

Migliaia di lavoratori dei mattatoi sono rimasti contagiati dal coronavirus SARS-CoV-2 e decine di impianti sono stati costretti a chiudere in tutto il mondo. In questi luoghi, infatti, è praticamente impossibile mantenere il distanziamento sociale, e le basse temperature favoriscono la permanenza del virus nell’ambiente. Ma la carne che si acquista nei supermercati non rappresenta un pericolo.
A cura di Andrea Centini
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Focolai di coronavirus SARS-CoV-2 sempre più ampi e numerosi stanno proliferando nei mattatoi di diversi Paesi, rappresentando una delle maggiori preoccupazioni per le autorità sanitarie. Basti pensare che in Germania, negli impianti di una grossa azienda del Nord Reno Westfalia, sono risultati positivi più di 700 lavoratori. Negli Stati Uniti sono circa 200 le società coinvolte, con una stima di ben 10mila lavoratori contagiati, dei quali solo un migliaio in uno stabilimento che “lavora” suini nel Sud Dakota. In Canada un'altra grande azienda ha avuto mille positivi tra i propri dipendenti, e diverse centinaia di contagi sono stati registrati nei mattatoi spagnoli, irlandesi, olandesi, brasiliani e di altre nazioni. Alcune decine di casi si sono verificati anche in Italia. Tutto ciò ha avuto un impatto significativo sulla filiera produttiva, sui lavoratori e sugli animali stessi.

Perché nei mattatoi si rischia così tanto

Ma perché i mattatoi sono diventati epicentro dei focolai di coronavirus? Le ragioni sono molteplici. Innanzitutto si tratta di luoghi in cui i dipendenti lavorano a strettissimo contatto fra loro, dunque è praticamente impossibile far rispettare il distanziamento sociale di almeno un metro, quello che protegge dal cosiddetto droplet, le goccioline espulse quando tossiamo, starnutiamo o semplicemente parliamo, e che rappresentano la via di trasmissione principale della COVID-19 (l'infezione scatenata dal patogeno emerso in Cina). Poiché la carne è considerata un bene di consumo essenziale, inoltre, le industrie coinvolte nella produzione sono rimaste aperte anche nei periodi più critici della pandemia; ciò, considerando la natura “affollata” di questi luoghi di lavoro, dove può essere complicato anche indossare i dispositivi di protezione individuale, ha naturalmente contribuito alla proliferazione dei contagi. Si pensa che in alcuni macelli la diffusione del virus possa essere favorita anche dagli alloggi dei lavoratori, spesso stranieri sottopagati (anche irregolari) che vengono fatti vivere ammassati e in condizioni al limite della dignità. I grandi mattatoi producono carne a una velocità spaventosa, e i dipendenti, sottoposti a ritmi di lavoro massacranti, spesso sono di ditte legate a contratti di subappalto. La filiera è progettata per generare il massimo profitto, mantenendo al contempo il costo della carne il più basso possibile. Non c'è dunque da stupirsi che il virus abbia potuto circolare in siffatti ambienti, così critici da aver spinto il governo tedesco a varare nuove norme ad hoc, al fine di renderli posti di lavoro più “umani” e per fronteggiare la pandemia. Il rischio nei macelli è ulteriormente catalizzato dalle basse temperature che li caratterizzano; com'è noto da diverse ricerche e dai dati epidemiologici, infatti, il coronavirus “preferisce” il freddo.

La carne non è pericolosa

Fortunatamente la carne lavorata nei macelli non rappresenta un rischio per la salute. Anche qualora venisse contaminata da un lavoratore che non indossa correttamente i dispositivi di protezione individuale, il normale processo di cottura distruggerebbe qualsivoglia traccia di virus presente. Il SARS-CoV-2 è inoltre un virus respiratorio, e ad oggi non ci sono evidenze che possa essere trasmesso attraverso il cibo. “Normalmente le malattie respiratorie non si trasmettono con gli alimenti, che comunque devono essere manipolati rispettando le buone pratiche igieniche ed evitando il contatto fra alimenti crudi e cotti”, sottolinea il Ministero della Salute. Anche l'Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) sottolinea la sicurezza dei prodotti alimentari, pur ricordando l'importanza dei processi di cottura e lavaggio, oltre all'igiene personale di chi li manipola.

Le conseguenze sociali e sugli animali

La necessaria chiusura di decine di macelli a causa dei contagi sta avendo un impatto negativo su tutta la filiera produttiva, che coinvolge anche gli agricoltori che producono il mangime e gli allevatori che “crescono” e consegnano gli animali agli impianti di lavorazione. Decine di migliaia di persone rischiano di restare senza lavoro, e all'orizzonte ci sono anche potenziali problemi di approvvigionamento della carne. Le conseguenze di questa crisi risultano particolarmente evidenti negli Stati Uniti, avidi consumatori di carne, dove si stanno verificando corse all'accaparramento di scorte, ma anche abbattimenti di massa degli animali. La mancanza di manodopera – falciata dai contagi – impedisce di “trattare” tutti i capi, e per quelli rimasti negli impianti non ci sono risorse per mantenerli. In pratica, non ci sono soldi per comprare il mangime. Così si preferisce eliminarli tutti assieme, come avvenuto in una grossa azienda di pollame negli USA, che ha abbattuto 2 milioni di polli con tecniche spietate, ma approvate dall'American Veterinary Medical Association. Gli uccelli vengono uccisi lentamente, soffocandoli dopo averli ricoperti con una schiuma, oppure dopo aver tolto l'areazione ai granai dove sono imprigionati (ciò fa aumentare le temperature interne a livelli estremi e gli animali collassano). I polli, del resto, sono sottoposti a trattamenti sconvolgenti per favorire la crescita rapida, e muoiono altrettanto velocemente se non vengono uccisi durante il processo della macellazione. I famigerati “mercati umidi” dove gli animali selvatici vengono macellati all'aria aperta sono davvero così peggiori di certi macelli?

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