Come scoprire civiltà extraterrestri guardando le stelle
Potrebbe esserci un metodo per scoprire l’esistenza di civiltà extraterrestri diverso da quello attualmente utilizzato, che impiega i radiotelescopi nella speranza di captare segnali nella gamma delle radiofrequenze di origine artificiale (come potrebbe essere un nostro programma televisivo intercettato da alieni su pianeta lontani). Con l’andare degli anni, l’inquietante silenzio proveniente dall’universo sta infatti cominciando a preoccupare gli scienziati che si occupano della ricerca di eventuali civiltà tecnologiche extraterrestri. Perché non captiamo le loro trasmissioni? Dove sono? Potrebbe anche darsi che tali civiltà siano oggi talmente evolute da non produrre più radioemissioni, ormai superate dall’evolversi della loro tecnologia. Nel 1959, il grande fisico Freeman Dyson propose un modo per rilevare indizi dell’esistenza di simili avanzate civiltà. E ora il perfezionamento delle tecnologie di osservazione potrebbe prestarsi a mettere alla prova questa teoria.
Civiltà tecnologiche di tipo II
Dyson aveva ripreso la divisione di Nikolai Kardashev delle possibili civiltà extraterrestri in tre categorie: quelle di tipo I, come la nostra, si sarebbero accontentate di sfruttare l’energia del loro pianeta; quelle di tipo II sarebbero giunte a sfruttare l’energia di un’intera stella; quelle di tipo III avrebbero richiesto – per continuare a sostenersi – l’utilizzo dell’energia di un’intera galassia. L’assunto di partenza è che lo sviluppo tecnologico richiede quantità sempre maggiori di energia. Ne sappiamo già qualcosa: dall’inizio della prima rivoluzione industriale, il problema principale della nostra civiltà è diventato quello di garantirci fonti di energia quanto più durature possibili. Quelle del nostro pianeta prima o poi finiranno, anche quelle più durature, che potrebbero alimentare la fusione nucleare. Le energie rinnovabili non saranno mai sufficienti a coprire l’intero fabbisogno di una civiltà in continuo progresso tecnologico. Tra migliaia o decine di migliaia di anni, potremmo trovarci di fronte a un’empasse.
Secondo Dyson, se esistono altre intelligenze nell’universo, alcune di esse si saranno già trovate a vivere questa situazione. Esaurite le risorse di tutti i pianeti del loro sistema stellare, non resterà alternativa che utilizzare direttamente l’energia del loro sole. L’ipotesi di Dyson è che dunque simili civiltà tecnologicamente avanzate finiscano per ridurre in frantumi i pianeti del loro sistema solare per impiegare il materiale di risulta nella costruzione di un anello intorno al sole o addirittura di una sfera che copra completamente la stella. In tal modo si potrebbe sfruttare direttamente la sua radiazione per alimentare la civiltà tecnologica stanziatasi intanto sulla superficie esterna di questa sfera, da cui il nome di “sfera di Dyson”. Va da sé che un simile esempio di ingegneria stellare lascerebbe tracce evidenti. Se una civiltà extraterrestre copre la propria stella con una sfera artificiale, nel giro di pochi decenni o al massimo di secoli, potremmo accorgercene persino dalla Terra.
Civiltà tecnologiche di tipo III
Qualcuno ora vuole provarci seriamente, dopo che tentativi di cercare indizi dell’esistenza di sfere di Dyson sono proseguiti sporadicamente per anni. Geoff Marcy, docente di astronomia all’Università della California a Berkeley, noto per essere il più attivo scopritore di pianeti extrasolari (70 dei primi 100 scoperti sono farina del suo sacco), ha ricevuto un finanziamento dalla Templeton Foundation, nota per i suoi generosi contributi in campi di ricerca eterodossi ma condotti da eminenti scienziati sulle grandi domande dell’esistenza, per mettere alla prova la teoria di Freeman Dyson (che nel 2000 ricevette l’annuale e prestigioso premio Templeton dalla stessa fondazione). Marcy analizzerà migliaia di sistemi extrasolari scoperti dall’osservatorio spaziale Kepler della NASA per scoprire possibili segnali di variazione artificiale della luminosità delle stelle – segno della costruzione di sfere di Dyson – e addirittura per individuare indizi di civiltà di tipo III.
Quest’ultimo tipo di civiltà tecnologica lascerebbe una traccia ancora più evidente. Sviluppatasi al punto da aver bisogno dell’energia di più di una sola stella, si distribuirebbe nella galassia seguendo un percorso concentrico intorno al proprio sole d’origine, rinchiudendo ogni volta una nuova stella in una sfera di Dyson. Quello che dovremmo poter osservare in una galassia dove opera una civiltà di questo tipo è una zona buia rispetto alla luminosità del resto della galassia, nota come “bolla di Fermi”. La bolla di Fermi sarebbe il risultato dalla copertura di migliaia e migliaia di stelle da parte di sfere di Dyson. È vero comunque che zone buie all’interno soprattutto di galassie a spirali sono abbastanza normali, per cui non sarebbe facile distinguere quelle naturali dalle bolle di Fermi prodotte da civiltà extraterrestri.
Come scoprire una sfera di Dyson
Ma le sfere di Dyson dovrebbero lasciare un’impronta ben precisa. Infatti, poiché la maggior parte dell’energia di una stella racchiusa in tale sfera verrebbe utilizzata, all’esterno verrebbe emessa solo radiazione nello spettro dell’infrarosso, che è la frequenza più bassa e quindi la meno energetica. Se trovassimo fonti particolarmente importanti di infrarosso, spiegabili solo ipotizzando una radiazione elettromagnetica nello spettro del visibile ugualmente importante ma impossibile da captare, con una distribuzione di corpo nero della temperatura corrispondente al raggio della sfera di Dyson (per una sfera del raggio di 1 UA – la distanza Terra-Sole – intorno alla nostra stella, la temperatura sarebbe di 300°), avremmo trovato un indizio dell’esistenza di una civiltà extraterrestre tecnologicamente avanzata.
Ricerche svolte utilizzando dati acquisiti da precedenti osservatori spaziali hanno già individuato 16 potenziali candidati. Naturalmente, è molto presto per dire se uno di essi sia davvero una sfera di Dyson. Bisogna escludere infatti una serie di possibili spiegazioni del tutto naturali, e aspettare che le nostre tecnologie di osservazione si perfezionino abbastanza da raccogliere sufficienti indizi sulla natura artificiale dei segnali individuati. Ma la ricerca di civiltà extraterrestri sta entrando ormai in una nuova epoca. Tra pochi anni, i più potenti telescopi terrestri e i nuovi osservatori spaziali potranno analizzare la composizione delle atmosfere di pianeti extrasolari, in cerca di tracce prodotte dall’inquinamento o dall’impiego di fonti nucleari, segni della presenza di civiltà tecnologiche. E molti scienziati sono pronti a scommettere che troveremo vita intelligente oltre il nostro sistema solare entro i prossimi cinquant’anni.