Come le particelle di aria inquinata si depositano nel cervello
I ricercatori della Lancaster University hanno ritrovato abbondanti quantità di nanoparticelle di magnetite nei campioni di tessuto cerebrale proveniente da 37 individui di età compresa tra i 3 e i 92 anni, vissuti a Città del Messico e a Manchester; per magnetite si intende un ossido del ferro dalle proprietà magnetiche che può derivare dall'inquinamento ambientale di origine industriale.
Come spiegato da Science, circa 25 anni fa, il geofisico Joe Kirschvink individuò particelle di magnetite di origine biologica nei cervelli umani, portando a concludere che questa si formasse in maniera naturale. Ciò non toglie che la magnetite sia tossica, poiché causa uno stress ossidativo che distrugge le normali funzioni cellulari, contribuendo alla creazione di molecole instabili che danneggiano altre importanti molecole, note come radicali liberi. Studi recenti hanno anche cercato di stabilire una correlazione tra grandi quantità di magnetite nel cervello e lo sviluppo dell'Alzheimer e, anche se nulla di definitivo è stato scoperto in tal senso, la tipologia di danni che può causare la magnetite resta compatibile con quanto si osserva nella malattia.
Ma per queste particelle la questione sembra un po' diversa. Studiate nel dettaglio, utilizzando analisi spettroscopiche che hanno consentito di identificarne la natura, hanno rivelato una struttura geometrica, ossia la forma sferica con un diametro pari a circa 150 nanometri, riconducibile ad altro. All'origine di queste nanoparticelle, infatti, ci sarebbero processi di formazione ad alta temperatura, come la combustione necessaria al funzionamento dei motori. Inoltre, la presenza di altre nanoparticelle contenenti metalli come il platino, il nichel o il cobalto, che non vengono prodotti naturalmente dal cervello, confermerebbe l'origine ambientale del materiale.
La professoressa Barbara Maher, del Lancaster Environment Centre, ha spiegato che le particelle rinvenute nei 37 cervelli umani appaiono come sorprendentemente similari alle nanosfere di magnetite che risultano abbondanti in presenza di inquinamento atmosferico riscontrabile negli insediamenti urbani, in particolar modo nei pressi di grandi strade trafficate poiché vengono causate dai motori e dai freni. Tali particelle sarebbero sufficientemente piccole da potersi introdurre nel cervello direttamente attraverso il nervo olfattivo, dopo aver respirato aria inquinata dal naso.
A scontare i danni da inquinamento, quindi, non sarebbero soltanto i nostri polmoni o il cuore: secondo i ricercatori, infatti, le nanoparticelle accumulate nel cervello potrebbero anche essere all'origine della malattia neuro-degenerativa più diffusa al mondo, ossia l'Alzheimer. Una correlazione, comunque, ancora tutta da dimostrare e, eventualmente, chiarire e approfondire: quando si potrebbe iniziare a parlare di esposizione rischiosa, ad esempio? L'argomento è delicato e la cautela, come sempre, è d'obbligo.
I dettagli del lavoro sono illustrati in un articolo pubblicato da PNAS.