Come le missioni spagnole portarono al collasso dei nativi americani
Il collasso delle popolazioni native americane, che portò alla decimazione delle comunità, non fu graduale bensì relativamente rapido; e non si collocò, come molti credono, immediatamente dopo i primi contatti con i conquistatori spagnoli, quindi nel 1500, ma ebbe inizio qualche tempo dopo, nell'epoca in cui le prime missioni cattoliche si erano già stabilite sul territorio. Lo sostengono gli autori di uno studio pubblicato da Proceedings of the National Academy of Sciences, intervenendo su un dibattito decennale.
I villaggi ancestrali sotto l'occhio del laser
Per giungere a questa conclusione, i ricercatori hanno incrociato i dati relativi alla popolazione del tempo con quelli provenienti dagli alberi che, nel proprio tronco, possono registrare eventi cruciali come, ad esempio, incrementi della CO2 nell'atmosfera; il lavoro si è interessato alla regione delle Jemez Mountains, in New Mexico.
Grazie alla tecnologia LiDAR è stato possibile, per la prima volta, fare una stima della popolazione all'epoca dell'arrivo degli spagnoli nell'area: guardando alla forma e alle dimensioni degli ammassi di detriti, vestigia ormai quasi irriconoscibili di villaggi finiti e dimenticati, i ricercatori hanno potuto farsi un'idea sui numeri prescindendo dalla documentazione storica. Questi resti, oggi riconoscibili soltanto grazie alla mappatura aerea realizzata con il laser, sono la più evidentemente testimonianza di come la foresta si sia imposta su quello che, un tempo, era un territorio abitato da esseri umani.
Alberi, foreste ed incendi
Anche gli alberi presenti nel territorio sono stati coinvolti nello studio, consentendo di indagare nel passato della regione con particolare riferimento alla concentrazione di incendi nei diversi periodi. Nella tarda età coloniale, infatti, si registrò una riduzione dell'anidride carbonica nell'atmosfera, verosimilmente come effetto dell'esplosione di vegetazione seguita all'abbandono delle città americane; naturalmente questo nuovo territorio comportò anche un registro di incendi differenti, rispetto all'epoca precedente.
Un massacro drammatico (e di breve durata)
I dati degli studiosi indicano che questa massiccia perdita demografica si verificò soltanto dopo che le missioni si stabilirono a partire dagli anni 1620: fu quindi l'interazione quotidiana con gli europei, con le epidemie che ne derivarono ma anche con gli squilibri, le violenze e le carestie, a portare ad una contrazione nella popolazione impressionante. Si passò dai circa 6.500 individui ad appena 900 persone rimaste negli anni 1690. In poche generazioni, l'85% della popolazione era scomparsa dall'area; il discorso è estendibile a molte altre regioni ed è scontato sottolineare la perdita culturale che si legò a questo drammatico fenomeno. Meno noto, invece, è l'aspetto evidenziato dallo studio, relativo all'impatto sull'ambiente della decimazione delle popolazioni amerindie.
Conseguenze ambientali
«Immagina che in una stanza con dieci persone ne resti soltanto una alla fine del giorno» spiega l'autore principale dello studio, Matthew Liebmann, della Harvard University «Questo ha avuto degli effetti devastanti, dal punto di vista sociale ed economico, sulle vite dei sopravvissuti. La nostra ricerca suggerisce che le conseguenze vennero sentite anche dall'ecologia delle foreste». Per questa ragione lo studio è molto rilevante anche per il dibattito relativo al momento in cui si può collocare l'inizio dell'Antropocene, l'era geologica attuale, quella in cui è l'uomo, con le proprie attività, ad influire maggiormente sull'ambiente, sul territorio e sul clima.